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TEORIA DEGLI INFINITI

Esistono due tipologie di scienziati: gli uni vedono il mondo come un caos ribollente e si adoperano per imporgli un metodo di loro invenzione; gli altri trovano invece un mondo ordinato e si mettono a giocherellarci per scoprire quali principi mantengano in equilibrio pistoni e ingranaggi. E questo è in estrema sintesi tutto il vero contenuto teorico del libro, il cui titolo originale The infinities, tradotto in italiano con Teoria degli infiniti, ha fatto probabilmente equivocare qualche critico , inducendolo a lamentarsi per la modesta scientificità del tutto, essendovi pochissimi accenni esperti: la teoria della relatività, la costante di Plank, la teoria di Gauge, fino alla inventata ipotesi di Brahama, che contempla l’ esistenza di una particella primaria del tempo. Come se, banalizzando e sintetizzando, si potesse specularmente chiedere agli scienziati di essere romanzieri. In realtà, a differenza de La notte di Keplero (2002) ma in perfetta assonanza con La lettera di Newton (2010) il titolo è un tenue pretesto per mettere in scena il fuggevole orizzonte dell’umano vivere ; che può certamente arrivare ad ipotizzare una moltitudine di universi , di cui cui tuttavia non è possibile fare esperienza. E quindi conoscere come sarebbero le cose là, quando qui diventa proibitivo anche solo appoggiare un piede chiedendosi se il terreno è solido.

A dimostrazione e sviluppo dell’assunto di fondo del libro, stretto appunto tra la finitudine terrestre e l’infinità insondabile del tutto, viene rappresentato un grande sapiente che sta morendo, circondato dal ristrettissimo coro di famigliari e figure dell’intimità quotidiana – fra cui un irresistibile cane – resi però quasi impenetrabili dal mistero delle reciproche alterità. Via via descritte e svelate dal testimone del libro, il dio Hermes, accompagnato marginalmente sia da Zeus che da Pan, annoiati dalla coazione a dimorare in un indistinto eternum privo di progettualità come di tramonti; svagandosi invidiosi con le sorti delle proprie creature fino a incarnarsi in loro per provare l’ebbrezza partecipe del qui ed ora. Nonchè per incresparne il tessuto esistenziale, facendolo ondulare come una tenda tra il passato e il presente, ad arricchire la trama di una sola lunga giornata, talvolta intervenendo addirittura come guardiani a posticipare l’alba, purchè certe concupiscenze possano trovare sbocco.

Non si pensi tuttavia ad un carnevale rauco di discendenza shakespeariana nè ovviamente ad una rivisitazione dotta di storie del cosiddetto cinema peplum, bensì ad una raffinata ed ironica invenzione drammaturgica che pone l’accento sul tempo e sulle impossibilità, volontà e nostalgie speculari degli umani come dei divini, consentendo altresì al lettore di partecipare all’esteriorità e all’interiorità dei personaggi e degli eventi. Nonchè di riflettere, sulla base di antitesi ed antinomie, sul vecchio sentimento dello stare al mondo, aderendo con tutti i sensi anche alla magnifica ambientazione del romanzo. Giocata da subito fra l’interno di una folle casa quadrata – con molti più angoli di quelli consentiti dalla sua forma geometrica – piantata assurdamente nel nulla di un estuario lontano , con una ferrovia come un gioco infantile, e l’esterno di una vegetazione solitaria assediata dall’estate; che incombe tra le pagine con un incessante ronzio di sottofondo e con tutti i possibili effluvi distillati dalla calura.

Tra bui spessi e attonite visitazioni di luce, la prima persona del dio narrante insemina la giornata, confondendosi e sovrapponendosi a tratti con la prima persona del vecchio Adam morente: che dalla profondità del coma precipita in un tempo sospeso, prima dell’annunciato finale, e ripercorre la propria vita. Scoprendo che l’amore è nel fare e non nel dichiarare e che sempre nel fare, e non nello speculare, consiste il segreto del vivere. Così come si accorge di aver trattato la moglie da bambina e i figli da adulti; pregando allora di vivere per vederli crescere e ora di morire per non vederli invecchiare. Intanto Hermes vagheggia che ,al contrario, “avrebbe voluto essere poeta, apostrofare le allodole e andare in brodo di giuggiole per i narcisi”.

Tutte le passioni umane sono contemplate e ritagliate emblematicamente a misura dei singoli soggetti, secondo una scrittura squisita, che riesce a cogliere la realtà e le psicologie reinventando l’esperienza dei singoli lettori grazie all’incanto di una parola modulata sempre come una disvelazione. Quasi a sollecitare una percettività sensoriale aggiuntiva che non si sapeva di possedere. Sì che spesso, in molti attimi del romanzo, viene da ricorrere al Faust di Goethe, pensando “fermati, sei bello”.

Eppure non è una delle migliori opere di questo straordinario autore, senz’altro noto ma meno praticato di altri nomi famosi. Perchè in parecchi punti si avvertono dei vuoti, mentre in altri dei pieni troppo stivati; vuoi per un difetto di consequenzialità nella strutturazione dell’insieme – che sembra a tratti per la prima volta lontanamente influenzata dalle atmosfere di Iris Murdoch – vuoi per la mancanza di autodisciplina nell’arginare il suono incantatore della propria voce, a discapito dell’omogeneità. Ma pochi sanno come lui raccontare sia la quotidianità che la Storia con la stessa unicità di pensieri e parole. Per cui questo è un libro da leggere dopo i suoi migliori – da non perdere se si vuole disporre di uno strumento di misura della narrativa contemporanea – con l’avvertenza di munirsi di un paio di forbici esperte: ritagliando le tanto cose eccezionali e scartando il resto.

TEORIA DEGLI INFINITI di John Banville , Guanda2011 ,318 pagine, 18 euro

Assolutamente consigliati, da leggere o da rileggere, dello stesso autore:

Il mare, L’intoccabile, La notte di Keplero, La lettera di Newton

Nell’ambito dei gialli , invece , La bionda dagli occhi neri

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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