L’ENIGMA DI FINKLER
Ne Il pianeta di Mr.Sammler (1970) Saul Bellow metteva in scena un anzianissimo intellettuale ebreo polacco, sopravvissuto all’olocausto, la cui vicenda personale prendeva l’avvio da una misteriosa, inquietante aggressione, incrociando ricordi e avventure con la riflessione sul ruolo degli intellettuali in una società che tramontava.
Quaranta anni dopo, Howard Jacobson, romanziere ed umorista inglese, molto noto in Inghilterra anche come giornalista, saggista e conduttore televisivo, adotta lo stesso espediente intorno a cui far ruotare i tre personaggi pricipali del suo ultimo libro, vincitore nel 2010 del Man Booker Prize.
Naturalmente la società di Bellow è definitivamente sepolta e gli aspetti culturali di questo romanzo ruotano intorno alla questione ebraica modernamente intesa, mentre il professore del gruppo è un laureato in filosofia che scrive manuali di successo, tipo: Il bicchiere mezzo vuoto: Schopenhauer per giovani etilisti.
Ma il vero protagonista non è lui, il Sam Finkler del titolo, bensì l’amico d’infanzia Julian Treslowe, unico non ebreo della narrazione, che tuttavia si strugge dal desiderio di essere tale. E che in un’ora crepuscolare , però di luce ancora piena, viene aggredito e derubato da una donna, che gli mormora una frase indecifrabile. Attorno al cui recupero di senso ruota tutta la prima metà del libro, attraverso le piccole riunioni dei due coetanei con Libor , un loro anzianissimo docente ebreo; riunioni caratterizzate dalla vedovanza dei due e dalla singletudine momentanea di Treslowe, perchè nel momento in cui le donne sono scomparse dalle loro vite possono finalmente tornare giovani, anche se a qualsiasi età c’è un futuro che si nega.
Decolla così una vicenda di caratteri e di esistenze, che è al tempo stesso un’acuta satira storico antropologica, in cui , oltre agli echi bellowiani, si scorgono derivate da La versione di Barney di Mordecai Richler e da L’umiliazione di Philip Roth. Perchè lo stile è asciutto, brillante, acuto e perchè un autore che scrive: “teneva la testa talmente eretta da creare intorno a sè un silenzio architettonico” merita sicuramente attenzione.
Attenzione che si concentra innanzitutto sul quasi cinquantenne Julian, ex redattore di programmi notturni alla BBC, ex impiegato teatrale come sosia di personaggi famosi, ex marito di due fuggevoli mogli, considerabili tali in funzione dei figli che hanno messo al mondo dopo averlo lasciato, e con i quali intrattiene men che occasionali rapporti. Perchè i suoi problemi sono altri, primo fra tutti la ricerca di una compagna, tale comunque da generargli una sorta di erotica afflizione. Essendo un malinconico insicuro, a cui le tragedie non consumate ma vagheggiate conferiscono un aspetto stranamente giovanile.
Sfilano così fragili guerriere che regolarmente lo schivano, addobbate con almeno cinque paia di bretelline per spalla, deplorevolmente visibili, in quanto la cosa che sempre lo intriga e lo commuove è la loro assoluta mancanza di classe. Mentre l’amico rivale Finkler è un tracotante e robusto uomo di successo, sposato e poi orbato di una compagna di rappresentanza, che gli sta al fianco come un’arma. E che lui non si perita di tradire continuamente, mentre Treslowe viceversa riesce ad amarne una sola alla volta, benchè frequentemente , e il novantenne Libor (vedovo di una moglie più bella di Ava Gardner) è costretto ad appuntamenti con giovanette che non sanno chi sia Jane Russel: motivo di afflizione ed incomunicabilità per lui, a suo tempo grande cronista della storia di Hollywood. Nonchè protagonista fragile ed ironico di una delle più belle storie di coppia degli ultimi tempi letterari.
All’alternarsi di pensieri, considerazioni, interrogativi esistenziali di uomini che sembrano avere ancora tutta la vita da perdere, si affiancano figure e comparse memorabili, inframezzate dall’eterna diatriba sul significato dell’ebraismo, secondo uno stile accattivante ed intelligente, continuamente punteggiato di frasi folgoranti. Che si ripiega un po’ su se stesso nella seconda metà del libro a causa di tre difetti: il primo, quello di aver abbandonato il tocco esistenziale, enigmatico ed enigmistico conferito dal continuo ripresentarsi del motivo dell’aggressione, indagato da ogni lato ,foriero di riflessioni esilaranti nonchè propellente dello svolgimento degli eventi; e tale, se perseguito adeguatamente sino alla fine, da dotare il romanzo di una ben più compiuta e avvincente strutturazione.
Il secondo, nella minor stringatezza degli episodi e dell’espressione, che sembrano cedere sul finale, dilatandosi con qualche stanchezza, e bisognosi di sapienti sforbiciata qua e là.
Il terzo dal fin troppo onnipresente elemento dell’ebraismo, in particolare di matrice britannica, intorno al quale l’autore gioca in maniera spietata, rimbalzando continuamente tra gli stereotipi giudaici e quelli non, in un gioco delle parti a tratti esilarante, ma alla fine francamente invasivo, nonchè invaso dal continuo affacciarsi di un club intitolato agli ASHamed jews.
Da leggere coscienziosamente sino alla metà, magari in seguito spigolando un po’ e cogliendo l’occasione per ritornare a Saul Bellow, uno dei più grandi scrittori americani del ‘900. Tanto per fare qualche confronto, e capire meglio come sono cambiati i tempi, e di conseguenza gli autori.
L’ENIGMA DI FINKLER di Howard Jacobson, Cargo 2011, 428 pagine, 20 euro, Man booker prize 2010
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Saul Bellow:
Tutti, ma almeno Il pianeta di Mr Sammler, Il dono di Humboldt, Le avventure di Augie March, Herzog