Film

I BACI MAI DATI

L’inizio è bellissimo: un respiro ansimato come nel sonno accompagna la visione sfocata di una piazza, dove le persone ondeggiano al rallentatore, con chiazze di bianco sparse qua e là, secondo certi affreschi del Pontormo. Ancora più significando i vuoti rispetto alle figure esplicite.
Lo sguardo e il rantolo appartengono in soggettiva alla statua della Madonna che sta per essere inaugurata e che, calato il lenzuolo e aggiornandosi l’iconografia, appare come una sorta di Manuela Arcuri di gesso , misera quanto velleitaria , in un deliberato riassunto del cattivo gusto corrente.
Siamo nel quartiere di Librino, presso Catania , e la sostanza del film è già tutta espressa, ondulandosi alla Bunuel tra il realistico e l’onirico, secondo una mescolanza di punti di vista che gli conferiscono inventiva e freschezza.

Ma non si tratta delle periferie violentate dai bilanci in bilico già alla metà del mese, bensì di quelle altrimenti deprivate dalle televisioni di tronisti e veline, in cui tutti sperano di essere mezzani di se stessi, con i tanti piccoli sogni dell’apparire comunque: espressi in minigonne tonsillari, in seni pushappati come gobbe anteriori, in unghie finte grimildesche, in cotonature che alzano tanto quanto i tacchi 15 con plateau.

Intatta , annoiata e affettivamente negletta nei suoi tredici anni che ancora non contano trascorre invece la protagonista, figlia adolescente di una leopardata ambiziosa e aggressiva, con sorella maggiore che si sta perdendo nei soliti giri pericolosi, e padre disapprovante che abbandona il nucleo famigliare.
Dalla confusione onirica di una notte di calura, la ragazzina trae spunto per dichiarare di saper dove si trova la testa della Madonna, decollata nottetempo da una pallonata. Ed ecco l’avvio di uno dei tanti miracoletti all’italiana, tra tinelli e attrezzature casalinghe anticellulite, con la folla dei più vicini già sulla soglia , che via via si ingrossa affluendo anche da lontano. Naturalmente secondo il concetto sacro della libera offerta.

Sfila così un misero purgatorio di solitudini che pretendono intercessione: dal sempreverde ritorno del fidanzato, al sindacalizzato cambio del turno in fabbrica, fino all’aggiornata contemporaneità di un’apparizione al Grande Fratello. Solitudini che si sommano in una pluralità di variopinta sovraesposizione, contrapposta al luccicante coro greco di un bordellesco negozio di parucchiera, dove impera Piera degli Esposti , tutta dedita al capello e alle carte, che l’ansia del futuro ha sempre gli stessi clienti. Disinteressati agli intermediari, purchessiano tali, e solo intenti alle scorciatoie che l’attuale filosofia del desiderio comunque comporta. Fino al ritrovamento dei baci mai avuti e mai dati e al presunto miracolo vero, che lascia giustamente aperte le sorti della vicenda.

Vicenda condotta da una Roberta Torre più intimista rispetto al musical di mafia Tano da morire(1997) ma altrettanto capace di infondere una grande linfa visiva ad una sceneggiatura volutamente ricalcata sugli stereotipi un po’ fumettari di Confidenze o Grand Hotel, con qualche opacità e qualche zoppicamento qua e là. Che tuttavia non inficiano la qualità del film, in grado di porsi, almeno visivamente, come uno dei più accattivanti della stagione italiana in corso. Grazie alla sapienza registica e fotografica messe in campo, in grado di sfruttare con compiuta perizia la lezione dei grandi del passato, riproponendola secondo un affascinante commistione di tecniche: dalla soggettiva della Madonna a quelle della ragazza, che sfreccia in motorino con un casco dotato di orecchie di peluche, mentre i tetti sforbiciano il cielo secondo un affascinante intersecarsi d’angoli , tali da restituire dignità poetica alle anonime e scalcinate palazzine. Oppure adoperando campi lunghi che improvvisamente si restringono , ridilatandosi sui primi piani dei personaggi. Si veda per esempio come la giovane Manuela venga ripresa spesso con in il viso tagliato a metà tra ombra e luce, arricchendone l’espressione di valenze interpretative e simboliche .O ancora come l’adozione del supercampo sappia mettere la sordina al suono, proponendo le scene come fetazioni di acquari, in cui la parola si annulla in bolle silenziose di ansie futili. Mentre siparietti di collages coloratissimi fanno ogni tanto da pendent a quelli che la ragazzina colleziona, ritagliando e scarabocchiando le riviste della parrucchiera.

Più emozionante dal punto di vista grafico e pittorico rispetto alla storia , ai personaggi e agli attori messi in campo , è un film che andrebbe comunque visto per riconciliarsi con le sempre più rare espressioni autoriali . In questo caso imperfette, ma di talento. Confrontandolo magari con l’altra bella pellicola di analogo argomento , ossia il Miracolo di Edoardo Winspeare.

I BACI MAI DATI di Roberta Torre, Italia 2010, durata 80 minuti.

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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