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SEZIONE SUICIDI

I francesi da sempre sono – o almeno sono stati – più bravi di noi nell’autopromozione: dai vini, ai formaggi, fino ai generi letterari, arrivando a coniare il termine “polar” per i romanzi e i film noir di natura poliziesca; mentre noi ci accontentiamo del più impreciso e onnicomprensivo marchio di “giallo all’italiana”.

Ed è proprio nel filone polar che si inserisce questo romanzo pluripremiato oltralpe, ma abbastanza lontano dalle corde del maestro del genere, quel Jean Claude Izzo inventore di Fabio Montale, ex poliziotto disincantato e romantico sullo sfondo di una mediterraneità marsigliese di grande appeal letterario. Intendiamoci, gli ingredienti ci sono tutti, ma l’approccio e il risultato sono inapparentabili. Propendendo Varenne più verso le peculiarità di Fred Vargas, scrittrice anomala e particolarissima di gialli quasi gotici altrettanto anomali e, a parer nostro, di ben altro intrattenimento, consequenzialità e portata.

Perchè l’autore, con quel cognome da purosangue e con un passato da filosofo e da giramondo, in qualche modo si deve essere posto il problema di come far arrivare la sua scrittura – a tratti sia elegante che profonda – ad un pubblico più vasto. Individuando nel romanzo di genere un veicolo acconcio. E in Fred Vargas le opportune spinte in termini di sinonimi e contrari.

Ecco allora il tenente Guérin in un impermeabile giallo probabilmente della defunta madre prostituta, meschino nel fisico e sempre assorto sotto il testone pelato, in compagnia di un pappagallo nevrotico e celibe come lui; contrappunto speculare al fascino stropicciato del commissario Adamsberg che invece ne fa innamorare molte, lettrici comprese, essendo non a caso un uomo concepito dalla fantasia di una donna. Ma con un punto di fondo in comune: il modo personalissimo e svagato di indagare, lasciando misteriosamente spaziare l’intuito o comunque una sorta di vista laterale, fino a collegare per imperscrutabili ellissi sia cause che effetti. Il primo rimuginando sino alla pazzia assurde connessioni tra gli argomenti più disparati; il secondo, semplicemente, ”spalando nuvole”. Avvalendosi entrambi di due secondi fedeli ed onnipresenti, ma decisamente opposti.

E l’elenco potrebbe continuare su più fronti, limitandoci noi viceversa alla qualità dei personaggi secondari, tutti inimitabili nella Vargas, e capaci da soli di assecondare in modo originale il fluire di un’intera storia. Mentre solo alcuni notevoli in Varenne, con particolare riferimento all’ex ergastolano Bunker e al cane Mesrine, che sono le invenzioni migliori del libro. Che dispone inoltre, come la Vargas, di una scrittura accurata anche se molto meno scientifica – nel senso letterale del termine – e tuttavia spesso – seppur con maggiore discontinuità – capace di tratteggiare fulminea momenti e osservazioni, con un tocco speculativo-esistenziale in più, in funzione della diversa origine professionale dei due scrittori. Essendo anche Varenne a tratti veramente efficace, con parecchie pagine di notevole qualità espressiva.

Tuttavia, se guardiamo alla trama, mentre Vargas è così originale da riuscire credibilmente a basare sugli escrementi di un cane un intero romanzo, Varenne ricalca gli stereotipi del genere mettendo in scena una Parigi meramente topografica contrapposta ad una campagna bucolica e paesana che più francese non potrebbe essere; ma senza dare allo sfondo un’acconcia dignità letteraria. Dignità di cui sono privi anche molti dei personaggi inscenati, senza vero spessore caratteriologico, meri burattini atti ad animare un percorso che arriva alla fine quasi senza fiato. Essendo il plot una sorta di copia e incolla di ingredienti noti, preferibilmente truculenti, mescolati in modo da far perdere spesso il filo al lettore; ma, soprattutto, senza riuscire ad organizzare una storia consequenziale sino alla fine. Con un ulteriore difetto: quello di affidare i raccordi della vicenda ad un sacco di narrati pregressi , affondati nel passato dei personaggi, obbligando il lettore a fare lo spettatore di contorcimenti esagitati sul proscenio, mentre i presunti fatti portanti si svolgono un po’ disonestamente dietro le quinte. A denunciare, se ce ne fosse bisogno, la scelta strumentale di un genere, senza averne non diciamo la vocazione, ma nemmeno la scienza , la perizia o il gusto. Basti pensare alla goffaggine poco credibile con cui spesso vengono descritti i momenti iperdinamici del romanzo ( altro che Lee Child e il suo magnifico Jack Reacher).

Qui Varenne in sostanza incrocia quattro fondamentali filoni: i cascami più o meno sommersi di loschi precedenti della guerra del Golfo, le risultanze di altrettanto riprovevoli pregressi della squadra Omicidi, la solitudine di Guèrin esiliato alla squadra Suicidi, le morti solo apparentemente volontarie dei vari cadaveri disseminati qua e là. Incombendo quasi dappertutto le immancabili occhiaie della notte.

Ma tutto secondo una voluta distorsione degli elementi classici del genere, che ne sfoca la visione d’insieme, senza peraltro offrire l’originalità di un diverso modo di guardare o di reinventare , appassionando il lettore; che rimane freddino sia emotivamente che razionalmente, distraendo la mano dalle pagine a occultare qualche sbadiglio.

Eppure, spesso ci si imbatte in passi del genere:”..tra le donne il crollo era più raro ma più duro. Forse perchè sopportavano più cose prima di decidersi a farla finita…Gli uomini invece abbandonavano la speranza con più facilità, una volta perso l’orgoglio per un lavoro o un matrimonio, in seguito ad un fallimento che li sminuiva agli occhi del prossimo e a cui in generale attribuivano ogni colpa. Si suicidavano soprattutto in nome di un’idea di se stessi. Anche le donne coltivavano spesso le apparenze , ma di un’altra categoria e più commoventi, completamente costruite e però più importanti dell’orgoglio maschile: le illusioni. Quando una donna si suicidava, scompariva con lei una porzione più grande della speranza in un mondo migliore”. Più che uno scrittore sperimentato di noir, un possibile romanziere o saggista. Che forse ha voluto cavalcare delle scorciatoie, pensando magari di innovare nella tradizione più sfacciata. Con risultati alterni. Almeno in questo romanzo, che dei due precedenti ci sono flebili tracce.

SEZIONE SUICIDI di Antonin Varenne, Einaudi stile libero 2011 , 277 pagine, 18 euro

CONSIGLIATI, da leggere o da rileggere:

Fred Vargas, La trilogia di Adamsberg

Jean Claude Izzo, La trilogia di Fabio Montale

Dominique Manotti, la serie del commissario Théo Daquin

Lee Child, la serie di Jack Reacher

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