Libri

ODORE DI CHIUSO

Sia al lettore che al recensore – talvolta coincidono – crediamo convenga ogni tanto appendere una riposante amaca tra i rami di un libro ” impegnativo” e l’altro, per godersi il prato erboso di una lettura semplicemente divertente ( e quel semplicemente, viceversa, tanto semplice non lo è mai ) . Ricorrendo ad un romanzo giallo, che non vuol dire ad un romanzo di serie B , essendo il genere già stato a suo tempo giustamente sdoganato da Borges, che lo considerava uno dei pochi elementi ancora capaci di mantenere le virtù classiche in un’epoca sempre più disordinata: ”perchè non è possibile concepire un racconto poliziesco senza un principio, una parte centrale, ed una fine”.

Ecco quindi questo Sellerio blu, fresco di stampa, che abbiamo scelto fra una sconcertante sovrabbondanza di offerte di genere, principalmente per le seguenti ragioni: è scritto da un giovane autore italiano che ha già dato prova, nei suoi precedenti tre libri, di notevoli capacità unite ad una gradevole vis comica; è in un comodo quanto elegante formato tascabile, quindi adatto ad ogni ritaglio di tempo, ovunque trascorribile; annovera tra i protagonisti quel grande gastronomo, nonchè saggista e critico letterario che fu Pellegrino Artusi, per cui nutriamo una smodata passione; vanta un titolo accattivante ed una scrittura sapida, già al primo trepido annusamento interstiziale. E grazie al cielo, anzi, a Malvaldi, non delude le attese. Sottolineando, se ce ne fosse bisogno, che il giallo, come il western, è diventato un grande contenitore delle più svariate intenzioni , sia serissime che burlesche.

Siamo in Toscana, alla fine del 1800, nel castello avito del settimo barone di Roccapendente; nonchè geograficamente così accosto a quel Bolgheri di carducciana memoria, da riuscire addirittura ad incrociare il Vate in persona, mentre in un vicoletto oscuro si libera la vescica “la testa verso l’alto e il fare indifferente che caratterizzano il vero professionista della pisciata all’aperto”. Ma Giosuè non è il solo vip dell’epoca, affacciandosi , come si anticipava, anche Pellegrino, e con un ruolo di non poco conto, che di chimica del pitale si continuerà a parlare, tra un sublime pasticcio di tonno ed una dotta quanto poetica disamina sulla maionese.

Presentati tutti i protagonisti riuniti a pranzo sotto le volte affrescate del salone d’ordinanza ( non diversamente dall’elenco riportato dai gialli di Agatha Christie nelle vecchie edizioni Mondadori ) si entra quasi subito in argomento, con l’assassinio – finalmente – del maggiordomo. E con tanto di mistero della camera chiusa. Un po’ costringendo il preludio, per dare spazio all’enigma e, soprattutto, all’indagine, un po’ vendicando finalmente le regole pubblicate da S.S. Van Dine nel 1928, che vietavano l’attribuzione del delitto ad un personaggio secondario; nonchè così tante volte contravvenute, da generare il tormentone proverbiale del maggiordomo colpevole, eterno rifugio dei giallisti maldestri. A cui oggi non si ricorre più solo per estinzione della categoria. Categorie che viceversa non si sono estinte , ma che anzi prosperano nel romanzo, sono quella classica dei figli nullafacenti del barone, uno fintopoeta, l’altro puttaniere, oppure quella delle zitelle logorroiche pronte a tendere il laccio anche verso il più improbabile dei pretendenti; oppure quella ancora delle cuoche tanto rustiche quanto sapienti; o infine quella dei poliziotti indaganti, come il delegato Artistico, magari non dei fulmini, ma tuttavia capaci di ammettere l’errore, tornando sui propri passi; nonchè sfruttando l’acume degli altri, che Pellegrino Artusi è un accanito lettore di Sherlock Holmes…

Si fa sul serio nella documentazione di riferimento, e un po’ per scherzo in termini di parodia di genere: dal giallo classico con tutti i suoi crismi al posto giusto, eppur di bonaria ingegnosità domestica ( benchè di una domesticità d’alto lignaggio, e quindi già di per sè più gustosa) ai libri edificanti per fanciulle dei primi del secolo scorso. Fino agli stereotipi del racconto di costume, ironicamente intriso di contemporaneità e di considerazioni sociali. Per cui sembra di conoscere da sempre i protagonisti, ma al tempo stesso di vederli in azione per la prima volta, grazie al modo di narrare. Che alterna le descrizioni in terza persona alla prima persona dei diari artusiani, intervenendo talvolta lo stesso autore con le sue riflessioni estemporanee, sempre in bilico tra il ribaldo e il goliardico, ma con garbo acuminato, senza quelle forzature tipiche dei libri in cui si vuole far ridere ad ogni costo.

Un divertissement gradevole, di una lievità sorvegliata, costruito bene per abili tagli, con echi di Paolo Poli e di Camilleri; in grado di scacciare una paturnia occasionale, come di favorire una sosta ludica appunto sull’amaca. Portando a casa la suggestione di una ricetta singolare – e pensate al figurone esplicativo con gli eventuali ospiti – così come un indovinello di voluto anacronismo: che libro legge la baronessina Cecilia alla baronessa nonna? Magari facendo spazio ad altre curiosità da approfondire: la breve biografia dell’autore, i suoi libri precedenti, o il monumento artistico dell’Artusi, perfetto sia per i golosi praticanti, come per gli amanti della letteratura disgraziatamente a dieta. Fino alla compulsazione di uno dei più bei saggi sul genere giallo.

ODORE DI CHIUSO di Marco Malvaldi, Sellerio 2011, 198 pagine, 13 euro

CONSIGLIATI

Marco Malvaldi : La briscola in cinque, Il gioco delle tre carte, Il re dei giochi

Pellegrino Artusi : La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene

Thomas Narcejac : Il romanzo poliziesco

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