Film

HABEMUS PAPAM

A noi che siamo al di qua degli schermi e delle istituzioni, viene spesso da chiederci cosa mai vi sarà al di là della rappresentazione che deve servirsi di simboli, di liturgie, di miti e di schemi teatrali per custodire un credo ed un ‘autorità che durino nel tempo, a costo di modificare la verità per mantenere le masse entro un ordine prestabilito. E questo vale soprattutto per la Chiesa, custode di una fede che deve secolarizzare il mistero per poterlo comunicare e mantenere. Non a caso, crediamo, il film si apre sulla folla da un lato e sulla rappresentazione ecclesiastica dall’altro: dapprima con i funerali di Giovanni Paolo II, seguiti dal conclave per eleggere il nuovo Papa, con la facciata di san Pietro come una grande, magnifica quinta, ed i tendoni di velluto rosso scuro a gonfiarsi , aprendosi e chiudendosi su un annuncio che non ci sarà. Perchè il palcoscenico resta vuoto, facendoci trascorrere dalla fila dei cardinali – presi visivamente a prestito dal pittore Nino Caffè – fino al grido di rifiuto del nuovo rappresentante di Cristo appena eletto. Molto vicino all’immagine urlante dell’ Innocenzo X velasquiano reinterpretato da Francis Bacon.

Comincia così un doppio percorso parallelo e a parti invertite, giocato fra lo psicanalista agnostico e mondano chiamato a sbloccarne la crisi di panico , e che rimarrà prigioniero all’interno delle mura vaticane (lo stesso Moretti nelle vesti di oggi magnifico ultracinquantenne ) e il papa eletto, che viceversa scorrazzerà fuori per Roma, mimetizzato da borghese.Trascorrendo dai piccoli episodi di una quotidianità libera , perchè rassicurata dall’anonimato , alle visite presso la psicanalista moglie separata del professore, che potrebbe curarlo conoscendolo solo come uomo e non come icona. Fino all’incontro con il teatro, sua passione mai sopita della giovinezza, mentre intorno gli schermi televisivi trasmettono a livello mondiale l’attesa interrogante delle folle. La scomparsa del neoeletto è infatti stata mascherata da un’indisposizione, mentre una guardia svizzera ne simula la presenza negli appartamenti, passando e ripassando come un’ombra dietro un’altra delle molte tende del film. Ingannando così gli stessi cardinali, colti in quell’umana regressione infantile che infallibilmente si manifesta quando una comunità viene costretta e rinchiusa dall’attesa. Svagandosi con giochi di carte e tornei di pallavolo, organizzati dallo stesso psicanalista. A porre l’accento sulle chiese in senso proprio e figurato, intese come comunità istituzionali di rappresentanza – anche il corpo psicanalitico è una sorta di chiesa – e la realtà umana che nei fatti sta dietro le apparenze e gli apparati ufficiali, persino dietro agli stessi uomini, colti talvolta di sorpresa dal loro medesimo inconscio. Con il film che termina con la riaffermazione del gran rifiuto, declinando il neo eletto la nomina non per mancanza di fede , ma per inadeguatezza alla Responsabilità, tornando ancora una volta la regia a sottolineare i retroscena fallibilmente umani.

Ambiziosamente collocato dentro il sancta sanctorum del Vaticano, colto nell’attimo del suo più segreto esprimersi, l’opera è sontuosa per immagini , fotografia e scenografia, essendo i rossi e i bianchi cardinalizi di massima fotogenia, così come le declinazioni della vecchiaia in tutte le sue possibili maschere festonate dagli anni. Per non parlare dell’ antica magniloquenza di architetture, addobbi e suppellettili . Ed è altrettanto ambiziosamente concepito nel suo doppio registro di aulicità classica e di bonarietà spicciola, maliziosamente spiazzando le probabili attese relativamente a eventuali prese di posizioni politiche o religiose. Trattando anzi il materiale in modo argutamente lieve, che apre ad una ironia diffusa e sorridente. Tale in realtà da assorbire il presunto dramma sia istituzionale che umano che la sceneggiatura affronta in modo piuttosto confuso, tiranneggiata da troppe seduzioni intellettuali per svolgerle e portarle tutte adeguatamente a compimento. Sì che i tormenti della superbia dello psicanalista come quelli dell’inadeguatezza dal Papa finiscono per elidersi nella comunanza delle solitudini, rimanendo viceversa in primo piano proprio la comunità che dovrebbe fare da coro. Come se l’originalità dell’idea e dell’ambientazione non trovassero un armonioso e conseguente svolgimento, affastellando e spargendo gli stimoli, senza riuscire nell’adombrato gioco di geometrie che viceversa il film sembrerebbe volersi proporre. Tanto che il primo vero momento emotivamente catturante è dovuto all’irruzione della colonna sonora, che sboccia nella magnifica, ossessiva canzone Todo cambia, cantata da Mercede Sosa. Portando tutti questi antichi scapoli infantili a ritrovare nella danza uno spunto di ingenuo quanto temporaneo oblio. Mentre il secondo momento contempla l’apparizione a teatro dei vari cardinali istituzionalmente rivestiti, ad affacciarsi dai palchi per recuperare il fuggitivo. Senza dare seguito però all’accennata cupezza della prigionia.

Morettiani dalla prima ora, ci viene da chiederci perchè, più il tempo passa, più i critici si rechino ai suoi spettacoli come ad una cresima, i guanti bianchi sulle mani sudate da applausi a prescindere, già anticipando possibili Palme d’oro al prossimo Festival di Cannes. Questo è un film intelligente, anche sapiente, condotto con un garbo ecumenico, che fa pensare non ad una ulteriore maturazione o passaggio, bensì ad una levigatezza in veste più internazionale. Un arabesco della mente, che rimane anch’esso dietro le quinte delle emozioni, consentendo allo spettatore di interpretarlo ad libitum. Guardando noi indietro con nostalgia alla passionalità inventiva de Il caimano ( 2006 ) come al personaggio di Don Giulio ne La messa è finita( 1985 ). Più imperfetti , meno illustri, ma sentiti , vibranti , autentici, concentrati sul come testimoniare piuttosto che sul cosa inventare. E, anni dopo, sempre a proposito di Vaticano, Sorrentino surclasserà Moretti con le due magnifiche serie The Young Pope e The New Pope ( 2016/2018 )

HABEMUS PAPAM di Nanni Moretti, Italia Francia 2011, durata 104 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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