Film

POTICHE – LA BELLA STATUINA

Trent’anni e un quintale fa, proporzionalmente ripartito, la coppia cinematografica di Francia era salita su L’ultimo métro (Francois Truffaut, 1980). Alla fine delle riprese, Depardieu aveva detto di lei: ”Deneuve è l’uomo che avrei voluto essere”. Ed era stato profetico. Nel senso che i due riprendono oggi insieme un mezzo di locomozione ben più modesto, per approdare allo stesso risultato.

Perché anche qui la meno algida ma pur sempre bionda Catherine è un femminilissimo uomo, come del resto tutte le donne vere. In apparente letargo, in quanto moglie nullafacente (ma molto sopportante e supportante) di un industrialotto caricaturale che dirige la fabbrica di ombrelli del defunto suocero. Finché uno sciopero con relativo sequestro non riduce lui quasi in fin di vita. E lei, potiche, ossia sottovalutata paccottiglia da scaffale, ne prende il posto, con ben altri risultati. Del tutto prevedibilmente, del resto, perché bisogna essere muscolosissimi per ingoiare ruoli ancillari fino all’offensività, quando non se ne ha la stoffa. Per cui trattare con i sindacati diventa uno scherzo, tanto più con l’aiuto dall’indimenticato amante di una fuggevole occasione, ex-sindacalista nel frattempo divenuto sindaco. Se sindaco può chiamarsi un pachiderma con la proboscide di Dépardieu.

Furbescamente innestato sull’apparente rivalutazione odierna della donna come primo motore sociale, il film è la saga dell’ibridazione. Ibridi sono i due attori, resuscitati per un rapporto anche sentimentale che è una sorta di inno all’imbalsamazione, patetico fino all’oscenità. Nonché trapiantati su dei loro maldestrissimi avatar nei frequenti flash back giovanili, a impietosa dimostrazione dell’impotenza di qualsiasi trucco tecnico contro lo scorrere del tempo. Ibrida la loro recitazione teatrale e smorfieggiante tra il serio e il faceto, ma con la pretesa di strizzare l’occhio al pubblico, rendendolo complice.

Ibrida la narrazione che, prendendo in prestito dalla cronaca i sequestri di dirigenti avvenuti in Francia l’anno scorso (dopo l’annuncio di reiterati tagli di personale nelle fabbriche), sposta l’azione nel 1977. Da un lato, per rendere più credibile una contrapposizione dirigenti-operai-sindacati che sembra l’eco sbiadita del dopoguerra di Guareschi. Dall’altro, per poter convenientemente vestire due personaggi, lei in particolare, che sarebbero stati massacrati dagli abiti di oggi. La narrazione prosegue innestando lo spunto dell’attualità retrodatata su una pochade a base di corna, equivoci, figli che sono di troppi o di nessuno, con conseguenti finte agnizioni e via elencando.

Eppure, pur non riuscendo a stare al gioco, e capendo benissimo che l’obiettivo da botteghino del regista è quello di mescolare verità e finzione, favola e apologo, sociologia e farsa (contrabbandando il tutto come un film di Mary Poppins per adulti), bisogna riconoscere a Ozon un certo talento. Che non è quello di far ridere seminando qua e là buone gag o battute che navigano come ciliegie isolate su una torta gelato mezza sciolta. Bensì quello dell’attenzione agli ambienti e, in omaggio al titolo del film, alle suppellettili. Sicché la cornetta di un telefono, foderata di velluto verde con finiture di spighetta dorata, la dice più lunga sulla borghesia e sul rapporto di classe che non dieci minuti di semplicistiche tirate sindacali.

Si esce fra i commenti positivi di un pubblico tutto attempato e identificato nei due attori, che sono l’attrazione un po’ morbosa ma anche uno dei limiti del film. E con il fermo proposito di non cucinare più a memoria,bensì di guardare con scrupolo le dosi degli ingredienti, che se il regista avesse fatto lo stesso, il risultato sarebbe stato migliore. Nonché con la volontà di controllare il proprio peso sulla bilancia e correre ai ripari anche nel caso di un solo chilo eccedente. E, infine, avendo negli occhi la protagonista che chiude cantando una canzone che non c’entra niente, riappropriandosi però per un attimo di tutto il suo fascino e della sua bella voce intelligente. Tornate o andate a sentirla nel cd di Malcom McLaren intitolato Paris (1994), un capolavoro ingiustamente poco conosciuto,e vi sarete del tutto risarciti. O risarciti del tutto.

POTICHE-LA BELLA STATUINA di Fançois Ozon, Francia 2010, durata 103 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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