LA FAMIGLIA BELIER
Intanto , c’è almeno una buona notizia : gli incalliti scempiatori italiani dei titoli cinematografici stranieri questa volta hanno avuto il pudore di non tradurre La famille Bélier con Il clan Ariete o Montone , anche se la tentazione deve essere stata forte , visto che ci troviamo in una comunità rurale , immersa tra le mucche e i formaggi . Bovini e loro derivati che non impediscono al nucleo affettivo in questione di essere sottoposto a tutte le odierne tentazioni , dai concorsi canori alla candidatura politica fai da te . Ma la famiglia del titolo ha un singolare vantaggio che la tiene unita , isolandola e proteggendola da contagi troppo compulsivi : il padre , la madre e il figlio ragazzino sono disinvoltamente , quasi allegramente sordomuti e la loro interprete nei confronti del mondo è l’adolescente canora protagonista del film . Che si barcamena bionda e volenterosa tra la scuola , il banco al mercato , il parto del vitellino nero Obama e il coro di classe a cui per caso si iscrive , così come tutti gli appena famosi di oggi ripetutamente dichiarano : passavo di lì , mi hanno estratto a sorte , accompagnavo un’amica …
Solo che qui la faccenda è più composita , avendo il regista Lartigau mischiato parecchi elementi pop : un omaggio a quello chansonnier tutto francese che è l’oggi settantenne Michel Sardou , figlio e nipote d’arte , 90 milioni di dischi venduti all’interno dei patri confini , 350 canzoni orginali fra cui il copione ha scelto quelle più adatte a far da battistrada alla storia ; una strizzata d’occhio a Fame – Alan Parker , 1980 – film e poi serie televisiva che ha preparato il terreno al dilagare sui piccoli schermi di tutti gli odierni talent show ; un colpo di tallone al movimento no global del contadino aquitano Daniel Bové , oggi deputato europeo nella lista Europe Ecologie ; un ganascino alla contrapposizione città campagna , perchè la spontanea innocenza del fieno fa respirare meglio , allarga il diaframma , irrora di rosa le gote e rende perdonabile , anzi distintiva , qualsiasi bucolica goffaggine ; un tocco di attenzione privilegiata nei confronti delle disabilità , fino ad adoperare la lingua dei segni come un metronomo dei tempi non solo comici dell’operazione .
Se il risultato della frittata è comunque appetibile , lo si deve non solo alla capacità gallica di promuovere diuturnamente meglio di noi vini e latticini , ma di avere un orecchio più smaliziato anche nei confronti della commedia , da cui continuiamo a scopiazzare : valgano i due prodotti italioti derivati da Giù al nord o il precipitoso riadattamento ( sinonimo elegante di duplicato integrale ) di Cena fra amici , recensito due mesi fa sotto lo pseudonimo Il nome del figlio . Mentre non abbiamo notizie del contrario , che sarebbe come esportare una Emma Marrone nature , persa in qualche amena contrada del lombardo veneto , tra suoni gutturali e contraffazioni originali del Salvini locale , in compagnia delle strofe di un Toto Cotugno* nordico di cui siamo sprovvisti .
La ragione è presto detta . Nonostante parole e situazioni piuttosto disinvolte trascorrano serene , dalle libidini genitoriali ( la mamma è una ex miss qualcosa e il padre virilmente pelosissimo ) all’allergia al preservativo da parte del quasi bambino fino allo sbandierato mestruo della tardiva ragazzona , l’atmosfera sentimentale del primo amore ha la trattenuta imbranataggine degli anni 50 e il blando ribellismo generazionale degli anni 80 . Così come l’appena accennato contrasto col solito sindaco di buona donna sa di Guareschi alla lavanda , mentre le canzoni hanno un loro fascino preciso e ormai senza tempo , funzionale agli sviluppi degli eventi sia nella melodia insistita come nella parola evocativa . L’intera operazione smussa o prende in giro gli spigoli dell’oggi confondendo felicità , drammi e scelte in un unico pastone vintage , non sgradevole per i canuti e nuovo per i meno attempati . Non si ride quasi mai e le incongruenze sono molte , basti pensare al provino sostenuto a Parigi che chiude trionfalmente il film , ma non importa . Agitando con astuto mestiere gli ingredienti più contrapposti , la pellicola offre un cocktail che sa di frutta fresca , poco alcolico ma passabilmente dissetante . E il trucco consiste appunto nel retrodatare la modernità popolare alle atmosfere di epoche passate (e quindi per smemorata definizione più felici ) componendo un bouquet campestre con tutti gli elementi fintamente ingenui del déjà vu , senza che la ricerca adolescenziale di una propria via si ammanti di interrogativi troppo problematici . Il settimanale Sorrisi e Canzoni ha trovato il suo tutt’altro che ignobile manifesto , aiutato dalle consolatorie spalle rotonde della giovane Louane Emera ( non a caso concorrente reale di The Voice ) e dagli interventi appropriati degli altri interpreti al contorno , maestro di canto , mucche e trattori inclusi .
*La canzone En chantant – 1978 , Youtube – è stata scritta da Sardou , composta da Cotugno e rimane nella testa
LA FAMIGLIA BELIER di Eric Lartigaud , Francia 2014 , durata 100 minuti