Film

IL GIOIELLINO

Chissà come si saranno sentiti e si sentiranno quegli spettatori ex piccoli azionisti o investitori in bond della Parmalat, assistendo a questo spettacolo, biscotti e latte caldo al mattino, diritti lesi e portafoglio ancora dolorante? Probabilmente beffati per la terza volta: all’epoca dalla sunnominata azienda e dalle banche che, almeno alla fine , sapevano benissimo di spacciare carta straccia per liberarsene. E poi da questo film, che di fatto non è e non vuole essere un’opera di denuncia alla Petri o alla Damiani. Anche perchè il crac della Parmalat, che viene da lontano, ma comincia sul finire del 1992 per chiudersi sulla bancarotta del 2003, ha rappresentato la più colossale truffa finanziaria a livello europeo. Con attività così complesse , ingenuo/sfacciate e disordinate sotto il profilo economico, da costringere anche il commissario straordinario Bondi ad un lunghissimo lavoro di ricostruzione, sfociato in una causa alle banche creditrici .

La via scelta da Molaioli è dunque – anche giocoforza – di natura completamente diversa, in fondo non dissimile e quasi speculare a quella perpetrata da Oliver Stone ai tempi di Wall Street: più spaccato psicosociologico che esposto accusatore alla Michael Moore. E speculare perchè mentre là il motivo conduttore era di fatto la ferocia dell’avidità ad alto livello, qui invece siamo dalle parti del capitalismo padronal provinciale di prima e seconda generazione. Strapaesano e quasi bonario. Reso secondo la vena intimista già evidenziata da Molaioli ne La ragazza del lago, film sopravvalutato, più simile ad una fiction televisiva per domenica di pioggia con gatto.

Mentre in questo caso il regista compie un notevole sforzo di maturazione sotto più di un benemerito profilo.

Intanto senza perdersi in dettagli tecnici, ostici per gli addetti ai lavori e a maggior ragione per il largo pubblico, ma rispettando la storia quasi alla lettera, riuscendo a coniugare lo svolgersi dell’azione con tutti gli accenni necessari per comprendere il passaggio dal successo di facciata alla disfatta.
Si comincia con il patron Amanzio Rastelli ( Remo Girone) che frequenta amabile politici e prelati, in salotti dove le parole ricorrenti sono etica e valori. Si prosegue presentando la sua mente nonchè braccio operativo, il ragionier Ernesto Botta (Tony Servillo) ruvido e stakanovista, tutto bottega e bottega. E chi vuol intendere intenda. Intenda anche che la figura del ragioniere è stata a lungo il vero emblema della finanza italiana fino al decennio scorso: factotum, confidente, complice, suggeritore ( basti pensare al ruolo ancor attualissimo del ragionier Giuseppe Spinelli nello scandalo del bunga bunga). Viene introdotta la nipote del proprietario, rampante giovanotta plurimasterizzata, contraltare dinastico acculturato rispetto all’erede diretto, che sfreccia in Ferrari e si occupa ovviamente solo di calcio. Si teorizza la formula del successo: un buon industriale deve avere il tridente come Nettuno: squadra sportiva, banca, giornale. Si opera a destra e a manca, finanziando tutta la politica italiana dell’arco parlamentare, in cambio di raccomandazioni agli istituti di credito e leggi ad hoc per fregare la concorrenza sul latte a lunga conservazione. Epperò accollandosi le aziende decotte di parenti e amici dei politici di turno.
Dalla messa della domenica con passeggiata feudale ( la moglie ignara appesa al braccio a mo’ di ombrello ) si vola con l’aereo privato a Mosca come a New York, con complessi di inferiorità mascherati però da credenziali alterate. Si inizia il gioco delle aziende off shore, con conseguenti passaggi – truffa invisibili, perchè rigorosamente all’interno di bilanci consolidati ; che si comincia ad alterare disinvoltamente grazie anche alla depenalizzazione del reato per falso; e ci si spinge anche da lui, fino ad Arcore.

Il prodotto naturalmente non esiste, è relegato lontano, in un ammasso di bottiglie che avanzano candide e ignorate sui nastri di produzione. Non parliamo delle mucche.
Si festeggiano promozioni e compleanni: sempre in famiglia, quella anagrafica e quella aziendale dei pochi fedelissimi della holding. Si stornano utili (leggasi si ruba) all’interno della stessa cerchia. Finchè il tutto diventa sempre più pericoloso e la ricerca di denaro fresco – non di latte – quasi ossessiva. Si cancellano le perdite con il bianchetto , si inventano degli attivi stratosferici, e ci si continua contraddittoriamente ad indebitare. Fino al suicidio del direttore marketing e alla scoperta del gioco: così marchiano e puerile da far riflettere, mettendo sotto accusa un intero sistema, e non soltanto nazionale. Del resto c’è già un accenno a quei prodotti finanziari derivati che metteranno in crisi l’economia mondiale a partire dal 2008.

Non siamo di fronte ad un grande film d’autore, ma ad un film onesto ,intelligente e paradigmatico. Che riesce a far comprendere con notevole capacità di sintesi divulgativa non soltanto un affaire specifico, ma anche un humus, un terreno di coltura. Grazie ad una sceneggiatura precisa , documentata, ben dialogata, ma resa per accenni, soprattutto caratteriologici , che scorre veloce in funzione di una regia che sa dove andare a parare ; anche il montaggio è molto professionale, per piani rapidi , scene contrapposte, dettagli emblematici, che imprimono un ritmo accattivante, evitando sbadigli o assopimenti.
Una menzione speciale alla fotografia, cupa e sfocata quel tanto da sottolineare che si gioca un gioco pericolosissimo, anche se quasi con pacifica naturalezza . Da memorizzare i dettagli scenografici : le strade di paese, le villone sobriamente pacchiane con i libri finti, la sede aziendale , magniloquente ma vecchiotta e labirintica, gli alberghi delle trasferte, lussuosamente polverosi di divani rossi e donnine.

Vale la pena di vederlo, perchè i film sul lavoro e sulle aziende sono pochi. Perchè l’accumulo di dettagli al contorno è assolutamento veritiero e reso con finezza.Lo giuriamo (al netto del malaffare , si spera ) : di ditte precisamente così ce ne sono ancora moltissime e troppe sono le connotazioni al contorno che suonano ancora oggi molto famigliari.
Infine ,perchè non si potrà estrapolare con certezza dove andremo, ma da dove veniamo e anche che specie di paese siamo attualmente, sì.

IL GIOIELLINO di Andrea Molaioli, Italia Francia 2011, durata 110 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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