Film

POETRY

L’acqua che scorre e dei bambini che giocano, che ogni infanzia dovrebbe essere circondata da un fiume, a compensazione del liquido amniotico abbandonato nascendo.
Alla fine del film di nuovo acqua e lo stesso fiume, che si chiude in cerchio scorrendo su se stesso .
Al suo interno , la storia della sessantacinquenne protagonista, civettuola e svagatamente pragmatica, badante per bisogno di un altro anziano più anziano di lei; nonna, negletta dalla figlia lontana, di un nipote adolescente pieno di riserbi ostili e di telefonini, videogiochi, apparecchiature varie e patatine, perchè anche il cibo deve fare rumore.
E poi il suicidio nelle stesse acque dello stesso fiume di un’altra adolescente. Stuprata da un gruppo di compagni di scuola. La laboriosa trattativa per tacitarne economicamente i genitori . La sorta di ricatto della protagonista nei confronti del vecchio più vecchio, che le ha chiesto l’ultima disperata e mostruosa prestazione in natura.
Infine l’Alzheimer preannunciato sotto forma di anomia progressiva e l’ingenua iscrizione ad una ancora più ingenua scuola di poesia, affinchè la coscienza sopita possa esprimersi prima del tramonto. Tacitando le brutture quotidiane mediante uno sguardo diversamente rinnovato nei confronti della realtà, fino ad un primo ed ultimo poemetto scritto proprio mentre la parola si va perdendo.
L’arresto del nipote e l’accoglienza definitiva dell’acqua.

Un densissimo accumulo di fatti e di temi forti, dunque; a cui corrisponde viceversa il paradosso di uno svolgimento lentissimo e prossimo al vuoto, sulla scorta di un minimalismo esasperato che sembra volersi direttamente contrapporre alla voga filmica dei tagli secchi e dell’azione veloce.Per cui il drammatico e il quotidiano vengono portati sullo stesso piano, in uno sgranarsi di gesti umili e di momenti ellittici, sullo sfondo di autobus anonimi, di supermercati all’angolo, di interni arredati per ammassi di oggetti qualsiasi, riconoscibili ovunque. In un oriente qualunquizzato da una modernità d’accatto, viceversa distinguibilissimo nei gesti e nei modi degli abitanti: che solcano la vita a passettini d’uccello, sempre un po’ diagonali nell’ansia da inchino, ingobbiti dalle forme di un continuo ringraziare, scusarsi, chiedere e negare, ad uniformare le intenzioni sia malvagie che benevole. Al centro lei, umilmente bella e curatissima nei suoi vestitini e cappellini, a mantenere una dignità che le si va a mano a mano erodendo addosso, impegnata a comprendere che cosa sia la poesia. E che spesso tace o dimentica, in una indistinguibile forma espressiva che accomuna i vuoti dell’incipiente malattia ai pudori di una lunga saggezza in cerca di conforto nella bellezza, incantandosi in una giornata di sole davanti a delle susine cadute da un albero. Che le sembrano suicide in quanto migliori rispetto a quelle acerbe rimaste sui rami, costituendo il primo passo verso quel cortocircuito della mente e dei sensi che potrebbe divenire afflato poetico. E quindi conoscenza dell’attimo significante. Ignorando che molto prima , nella sua Recherche, Proust l’aveva anticipata con” il grido acido delle ciliegie”.

Film inusuale quanto sorprendente : perchè dai sentimenti misti di esasperata noia e di contemporanea ammirazione per la straordinaria presenza scenica dell’attrice protagonista, si passa ad una decantazione progressiva della memoria, in cui gli snodi dell’azione si precisano e si ricompongono come un gioco che trovi a distanza i sui incastri naturali. Mentre la figura di lei acquista a sua volta un senso compiuto in bilico fra lo sperdimento e il raggiungimento di intendimenti via via più profondi, rinvenendo i dettagli salienti sotto forma di un rimontaggio personale della pellicola.
Probabilmente sconsigliabile ai non cinefili come ai frettolosi e ai contemplativi, perchè c’è nel contempo troppo e troppo poco, secondo una sceneggiatura abile, premiata allo scorso Festival di Cannes. Però dilatata e dissanguata volutamente fino allo spasimo da una regia di grande ambizione dimessa ,che vuole a tutti i costi significare, scegliendo una sordina prossima all’ atonalità. Forse più apprezzabile dai temperamenti nostalgici, capaci di rielaborazioni retrospettive.

In estrema sintesi, difficilmente classificabile, ma comunque dotato di una sua misteriosa, intrigante presa tardiva anche grazie alla fotografia, all’ambientazione e agli arredi, inclinando alla curiosità di vedere le precedenti opere di questo sudcoreano quasi sessantenne ; notissimo nel mondo asiatico, ministro del Turismo e della Cultura del proprio paese, nonchè pluripremiato a livello internazionale con i suoi precedenti film : Oasis (2002) e La luce segreta (2007). Che, giunti a questo punto, bisognerà vedere e confrontare, per capire meglio, cercando di afferrare o decostruire l’ambigua fascinazione di una voce comunque fuori dal coro.

POETRY di Lee Chang- Dong, Corea del sud 2010, durata 135 minuti.

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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