Film

THE FIGHTER

Rocky, Alì, Carnera, Cinderella man, Hurricane, Lassù qualcuno mi ama, Million dollar Baby, Tyson, Toro scatenato…Il cinema ama la boxe, tanto che i film noti sul pugilato sono almeno una cinquantina. E in fondo la ragione è abbastanza semplice. Risponde al bisogno di picchiare (e chi ogni tanto non è tentato?) che viene devoluto a terzi per procura, però secondo un’arte antichissima opportunamente nobilitata da regole precise, e che comporta abnegazione, coraggio, forza e intelligenza. La sfida diretta dell’uomo contro l’uomo, con tutta la sequenza di sacrifici, aspirazioni, sconfitte, vittorie e retroscena, in genere partendo da condizioni sociali precarie, ché il rischio, anzi, la certezza di comunque prenderle non fa per gli appena abbienti. Come peraltro sosteneva anche Cassius Clay: “La boxe è quando un sacco di bianchi stanno a guardare due neri che si riempiono di botte”.

E come succede ovviamente anche in questo film, che per dire qualche cosa di diverso si premura di precisare che è una storia vera – ah,beh, allora…- e di pugili è costretto a metterne in scena due, per la cronaca fratelli, con il contorno abbastanza stravagante di una famigliaccia particolare. Sette bovine sorelle da padri vari, e soprattutto una madre virago, di quelle matriarche pervasive e pericolosissime, che qualsiasi cosa facciano, la fanno sempre per il bene altrui. Qui il bene altrui è sostenuto da un fervido senso del clan ma soprattutto dalla delega ai figli delle proprie aspirazioni frustrate, per non sottolineare troppo le conseguenti lusinghe economiche. Per controllare tutto meglio e più da vicino, fa anche da manager ai due Gracchi. Il primo gloria a suo tempo mancata e ormai allenatore, tra una fumata di crack e l’altra, del fratello minore, ultima speranza della tribù. Vivendo quindi il poveraccio un percorso quotidiano minato, ben più massacrante del ring. Finché si innamora, si emancipa, cambia l’entourage professionale eccetera, fino al duplice, anzi triplice lieto fine.

L’ambiente è una cittadina sgangherata della provincia americana, ma sembra un fondale da studios, con il suo contorno di casette anonime e di personaggi “tipici” tanto quanto gli amaretti del Sassello o il lardo di Colonnata, ma appena accennati. Le sequenze sul ring sono relativamente secondarie, perchè il focus è sugli attori e la dinamica narrativa affidata all’intreccio dei conflitti emotivi di un nucleo dissestato ma complice. La morale virgiliana è che amor vincit omnia.

Che altro dire? Il cast è buono, tanto che la matriarca (Melissa Leo) si è aggiudicata l’Oscar 2011 come miglior attrice non protagonista, benissimo coadiuvata da abbigliamento, trucco e pettinatura gialla e nera. Ma l’asso nella manica è costituito da Christian Bale (il fratello drogato) che, secondo un’inclinazione tipicamente hollywoodiana (appena premiata per la stessa ragione anche Natalie Portman) si è ritrasformato fisicamente perdendo chili su chili, come nel precedente l’Uomo senza sonno (all’epoca furono trenta) strappando anche lui l’Oscar al miglior attore non protagonista. Sovrappeso, fateci un pensiero.

La sceneggiatura e la regia sono professionalmente diligenti anche se si avvalgono di peperoncino sintetico e la fotografia fa del suo meglio, tanto che le sequenze movimentate di pugilato sul ring sembrano ferme rispetto allo tsunami del contesto emotivo al contorno. Che si esprime in urli, contumelie, bevute, pestaggi e via elencando.
Meglio la colonna sonora originale, cui senza parere è affidata la vera adrenalina della storia, sia grazie ai quindici pezzi che la compongono, sia soprattutto in virtù dei rumori di fondo, che sono una dilatazione percussiva del suono dei guantoni sul ring. Come una specie di ritmo di tamburo nelle finestre che sbattono, nelle cadute dai primi piani degli appartamenti, nelle porte che vengono sempre picchiate a mano malgrado l’abbondanza di citofoni.

Un film che tutto sommato si sforza di caratterizzarsi senza riuscirci – si veda ad esempio la quasi totale assenza di quel circuito organizzativo che in tutte le altre storie di boxe è sempre presente come parte integrante di ogni qualsivoglia sfida tra pugili professionisti. Può piacere ai non appassionati del genere come deludere quelli che al contrario lo sono. O anche viceversa. Complessivamente abbastanza noioso e decisamente meno interessante di tutti i titoli elencati all’inizio.

THE FIGHTER di David O.Russell, Usa 2010, durata 115 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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