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FARE SCENE, UNA STORIA DI CINEMA

In principio fu la scrittura. E il primo in assoluto a vedere il film è chi lo scrive.
Introdotta così, sembrerebbe un’opera che privilegia i libri rispetto ai film, e di conseguenza la parola rispetto all’immagine. Invece è un inno al cinema, scritto in modo nostalgico, delicato, umoristico, elegante da uno che il cinema lo vede e lo fa, in quanto anche sceneggiatore. E chi ama sia la letteratura che la settima arte esce arricchito e in qualche modo, paradossalmente, cambiato e ritrovato dopo la lettura di queste non molte pagine. Che sostanzialmente sono divise in tre parti.

La prima, su come nasce da bambini l’amore per il cinematografo e per i suoi contenitori. Nella fattispecie, in una famiglia proletaria, con il padre ferroviere e artista, la madre camiciaia e i bambini che bivaccano per pomeriggi interi nei pulciosi locali napoletani del tempo, purchè non disturbino il lavoro famigliare.
E’ la storia di due amori: uno per un genitore che va al cinema perchè ritiene che questo mostri il tempo che passa proprio nel momento in cui passa e l’altro per gli stessi film, visti attraverso la crescita di un bambino, di un adolescente e poi di un giovane adulto. Il lettore può a sua volta sovrapporsi e fendere gli spessi tendoni biografici della memoria per ripercorrere, insieme a quelle del protagonista, le sensazioni, che negli imprinting infantili non sono tanto un’iniziazione, quanto la fondazione di un mondo.

Accanto, sapide tranche de vie dell’italietta del dopoguerra, che, con il diffondersi delle macchine da presa casalinghe, riflettono due momenti diversi della fruizione di un film. Quella dello spettatore che esce di casa e condivide un evento con altri suoi consimili, e quella dello spettatore che fa il filmetto e poi lo vede in casa, come se attrazione pubblica e abitazione privata si rovesciassero l’una nell’altra. Scoprendo che non si è mai come ci si immagina, e che in fondo, con le nostre facce e con le nostre vite, il cinema dello schermo in casa non viene, non si può fare, un po’ come il gelato. Perchè, probabilmente, il segreto del fare film sta da un lato nello smettere di essere veri e trovare la via per diventare “finti” e – quindi – credibili e naturali. Dall’altro, nel dare ordine ad una realtà che, in quanto tale, è una ressa disordinata e stratificata, nonchè ingannevole quanto incomprensibile.

La seconda parte, che funge da intervallo tra un tempo e l’altro, riflette sui nuovi media – dalla televisione ai dvd agli iPhone – sull’assedio delle tecnologie, sempre secondo un’ottica intimista, vagamente malinconica, come il sospiro di un Umberto D resuscitato nella modernità. Dietro e al di sotto della tecnologia, sta lo spasmo dell’uomo, unico essere vivente teso a rappresentarsi, afferrarsi, conoscersi, cercando di visualizzare e fissare per sempre, con tutti gli strumenti disponibili, la natura del corpo: che esiste, respira, parla, e si muove verso la morte.

La terza parte è il racconto dal vivo della genesi di un film dei giorni nostri. Con tanto di Rai, nomi e cognomi illustri, sceneggiatori, registi, produttori, attori, e della distorsione che, cammin facendo, trasforma un’opera ispirata di neoralismo rivisitato in una specie di musical proletario, per platee quasi da cinepanettone. Anche qui rappresentata con conoscenza diretta dei fatti, vita vissuta nel mestiere, dubbi, incertezze, caratteri, isterismi. Sullo sfondo, troneggiante e sempre più onnipresente, la grande arte del compromesso, che non è la risultante della civile diplomazia del vivere, bensì il tentativo, quasi mai riuscito, di conciliare il dimagrire delle anime con l’ingrossare dei portafogli. Fino a noi, recensori sul web, ancora innocenti secondo l’autore, disinteressati rispetto alla carta stampata, ai festival, ai premi, alle distribuzioni di medaglie e di prebende.

Niente di moralistico o nostalgico, però. Un lucido, tecnico, sapiente e al tempo stesso comico e poetico riepilogo del come eravamo sessantanni fa, che arriva fino ad oggi. L’Italia e le famiglie delle due repubbliche, intrecciate in un racconto su diversi registri, che si fondono con rara grazia. Perchè Starnone ha un suo particolarissimo dono di scrittura, sostanziato di nitore, di scioglievolezza da cioccolatino di marca, sapienza tecnica, chiarezza e capacità di riflessione che smarginano con affettuosa naturalezza le une nelle altre, consegnandoci pagine di divertimento e di approfondimento sullo stare davanti e dietro uno schermo. Mentre il lungo intervallo delle nostre vite si consuma, fra un primo e un secondo tempo.

FARE SCENE , UNA STORIA DI CINEMA di Domenico Starnone , minimum Fax 2010, 192 pagine, 13,50 euro

LA CITAZIONE

“Noto adesso per la prima volta che, in una foto in cui ognuno pare starsene per i fatti suoi e non sfiora mai l’altro, lei è molto accostata al marito, con una spalla s’è infilata sotto la sua ascella, gli poggia una mano sulla mano, anche se lui è troppo preso da come sarà fissato per sempre dalla pellicola e nemmeno se ne accorge. Chi erano davvero, oltre i litigi, oltre la rappresentazione pubblica degli affetti, chi erano in segreto i miei genitori, non lo so e non lo saprò mai.”

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