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CLUB

Bill James è lo pseudonimo di Allan James Thucker, giornalista gallese nato nel 1929, autore di una trentina di romanzi, molti dei quali gialli, con i poliziotti seriali Colin Harpur e Desmond Iles come protagonisti. Notissimo e – giustamente – osannato all’estero non solo come scrittore di genere, ma come autore tout court, il suo primo e fin qui più bel libro, Protezione, è stato per la prima volta tradotto in Italia da Sellerio nel 2008. E’ seguito Confessione, nel 2009, mentre l’ultimo, Club, è comparso quest’anno in libreria.

Poiché le storie sono collegate, invece di raccontarle o di recensire un solo libro, ci limiteremo ad indicare le caratteristiche salienti di un autore, in grado di regalare a chi legge: l’immediatamente riconoscibile unicità di una firma autorevole; il piacere di imbattersi in ambienti e caratteri in grado di far riflettere sull’oggi, anche parlando dell’Inghilterra thatcheriana; l’interesse di una trama originale, ben concepita e meglio articolata; la qualità di una scrittura ironica, pragmatica e al tempo stesso sofisticata. Nonché la godibilità di immergersi nella lettura in qualsiasi momento e luogo, grazie ad un formato editoriale come quello di Sellerio, tanto elegante quanto maneggevole.

Siamo in una zona imprecisata della provincia inglese negli anni ’80, in cui si contrappongono, si sfiorano e si intersecano fatti privati e pubbliche virtù della polizia, della malavita locale, della stampa e della televisione. E da subito emerge che il plot fa da sfondo a una indagine filosofica sul fragile e ondivago senso del confine, qui concepito non come una linea di demarcazione, ma come territorio di tutti e nessuno. In cui il giusto e l’ingiusto, il lecito e l’illecito, il bene e il male colludono e confliggono spesso confondendosi, in modo che sia le guardie che i ladri possano trovarci i mezzi e i fini per continuare a giocare il loro eterno gioco. Partendo sempre dai fatti, ma dilatandoli in riflessioni acute su di un’epoca in cui, con piccoli slittamenti progressivi, il sociale sta pericolosamente trasformandosi da convivenza in connivenza. E in cui l’appartenenza di gruppo è spesso, non sempre, una buona ragione di difesa, a discapito della verità. Salvo poi trasmigrare, quando la paura o la convenienza lo consiglino.

Ma non si tratta di un mondo di vili – qui forse l’unica differenza con l’oggi – bensì di personaggi forti anche nelle loro debolezze, fra cui spiccano l’ambiguità del gestore del club, la gerarchia poliziesca incarnata nei due detective principali con i loro capi, i vari malavitosi che di volta in volta comandano, si aggregano, soccombono e, soprattutto, le loro donne, sempre migliori di loro. Fra queste spicca il personaggio di Sarah, moglie controversa del controversissimo Iles, che, direttamente o marginalmente, è comunque il motore di tutto ciò che accade. Ognuna di queste figure si incide indelebilmente nella memoria grazie a pochissimi tocchi fisici ricorrenti, ma, soprattutto, in base al personale modo di parlare ed interloquire.

Abilissimo nei dialoghi, che si alternano ai fatti in capitoli a loro volta alternati tra i “buoni” e i “cattivi”, James ha l’inusitato talento di giocare con la lingua, conformandola ai diversi ambienti e ai diversi caratteri, consentendo altresì al lettore di soddisfare un antico desiderio infantile: quello cioè di essere la “mosca” sempre al corrente delle diverse circostanze in diversi luoghi, utilizzando non solo gli occhi, ma anche le orecchie.

Perché lo stile è logico, tagliente, ritmato, quasi inversamente proporzionale alla ricchezza delle psicologie, direttamente collegato alla costruzione ingegneristica della trama. Eppure, e qui si rivela il grande scrittore, denso di suggestioni cinematografiche di un bianco e nero cremoso, in cui la nettezza delle ombre e delle luci sembra volersi far perdonare l’ambiguità degli animi. Mentre in molti momenti di cristallizzazione delle immagini (per esempio un telefono che continua a suonare sempre alla stessa ora, quando l’autore è stato massacrato da tempo), gli ascendenti letterari fanno pensare in particolare al grandissimo Conrad de L’Agente segreto.

Infine fate attenzione ai titoli: sempre di una sola, secca parola, sempre declinabili su più significati, sempre felicemente riassuntivi di un mondo impietoso, ironico, e al tempo stesso attentissimo ai moti dell’animo. Difficile trovarne di equivalenti, mentre il genere giallo programmato a tavolino per sbancare le casse imperversa, si confonde e si ibrida in una infinità di sottogeneri, tanto dilettanteschi quanto spuri.

CLUB di Bill James, Sellerio 2010, 384 pagine, 14 euro

LA CITAZIONE

“E’ uno seriamente pericoloso. Lui crede di essere “la gente”. Come tutti quelli dei media. E invece il più delle volte non sono nemmeno persone”.

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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