Film

THE AMERICAN

Svezia: una landa desolata,e perciò innevatissima. Il tepore di un idillio e di un camino, un’uscita a due, che insalama fisicamente il nostro George, alias Jack, alias Edward, alias mr. Butterfly. Tre eventi che accadono all’improvviso, fulminei, il secondo dei quali decisamente sorprendente. Poi Clooney, uscendo dall’insciarpamento plurimo e dal rossore da guance congelate, rimbalza a Roma, esteticamente riabilitato dagli abiti civili.

Un colloquio ambiguo presso la stazione Termini, la partenza verso i cocuzzoli dell’Abruzzo, con i paesini ammontonati come presepi. Lunga pausa di artigianato semisedentario – maldestramente descritta sotto il profilo tecnico – per la costruzione di un’arma, con le punture della carne sanate da visite prezzolate, ma già monogame; per le grazie di Violante Placido – carina e fresca sia da nuda che da vestita. Un incontro con un prete filosofo e peccatore e con un meccanico piazzato nel punto giusto e al momento giusto.

Tinteggiature suggestive di bianchi, crema, grigi, azzurri per le case, e natura spolverata di tanti verdi, che viene voglia di coglierli tutti, uno dopo l’altro. Poi il ritmo riaccelera, insinuandosi fra scale, scalette, pietre, sottoportici suggestivi e ben fotografati, fino all’epilogo finale. Un po’ banalmente semplice, da risultare quasi misterioso. E da insinuare alcuni dubbi sulle congruenze della pur linearissima trama, adattata per lo schermo dal libro A very private gentleman. Con un prevedibile (finalmente) the end catartico che spiega e non spiega (o forse non c’è niente da spiegare oltre).

Il regista Corbijn è fotografo musicale, collaboratore degli U2 per lungo tempo e autore del film del loro ultimo album No line on the horizon. E, nella sequenzialità del plot, i due elementi vengono privilegiati, con buone inquadrature ed una facile ma ben scandita colonna sonora. Non ci si annoia perchè è un film onesto, che non promette di più di quello che mantiene; ideale da schermo televisivo nelle domeniche devastate dall’approssimarsi dei lunedì, quando si può guardare e interrompere esplorando il frigo, andando a fare pipì, intrattenendo il gatto, senza che l’insieme ne risenta.

Che cosa nuoce dunque alla pellicola? Le aspettative intorno a George Clooney, che ha ricoperto con ben altra immedesimazione i panni di Michael Clayton, qui più o meno involontariamente citato in parecchie occasioni, essendo peraltro un film di tutt’altra portata, anche nella costruzione enigmistica. L’ambientazione italiana che, pur incantevole, richiama un po’ le scatole di cioccolatini svizzeri, comprate magari più per i panorami che per il contenuto; e la conseguente interpretazione stereotipata dell’italico paese, con vecchie canzoncine meridionali o straclassici pezzi d’opera da sfondo. E questo elemento, però, dovrebbe avvertirlo di più lo spettatore italiano, dopo il battage intorno alla presenza locale di Clooney, ai tempi del terremoto dell’Aquila. Che comunque non viene citato, perchè non c’entra proprio niente, malgrado l’impegno civile dell’attore.

Anche i dialoghi talvolta sono un po’ amenamente scontati, tipo: “Siamo tutti peccatori, sì, ma alcuni più di altri”, frase che dovrebbe rappresentare il distillato filosofico sull’esistenza o meno di Dio. Oppure proclami da deodorante, quale ad esempio: “Sono venuto per avere piacere, non per darlo”, detto burberamente dal protagonista alla giovane prostituta. Il modo sicuro per far sbocciare un amore romantico, improbabile, ma reciprocamente salvifico. Infine lo schematismo ingenuo con cui si vuole rappresentare un uomo in crisi con il suo passato, e minacciato dal suo futuro,scambiando la diligenza per classicismo. E poi, ancora, piccola notazione a margine, che immalinconisce un po’: anche per George, animale cinematografico per eccellenza, il tempo comincia a passare in modo sleale.

THE AMERICAN di Anton Corbijn, Usa 2010, durata 103 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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