Film

TAMARA DREWE

Allora: storia di parecchi passaggi di mano, nonché di altrettanto numerosi giri di coscia. Di mano, perché il film si ispira ad un libro di Thomas Hardy, Via dalla pazza folla (1874) che ricordiamo mediocre, a sua volta inconsapevole generatore di un film omonimo ed opaco di Schlesinger (1967), però con una incantevole Julie Christie, poi ripreso in un fumetto di Posy Simmonds uscito a puntate sul Guardian nel 2007, annunciato ma non ancora apparso nelle librerie italiane.

Di coscia, perché una giovane Cyrana, rifattasi la canappia, ritorna trionfalmente al villaggetto nativo per da da darla a tutti, ma proprio tutti, con un criterio di scelta difficilmente riconducibile al libero arbitrio. Che detto così, sbirciando i trailer, potrebbe anche essere un aggiornamento divertente, in chiave rock folk, di un lontano fallimento. E che, invece, fallimento rimane. Perché la trama è ricalcata pedissequamente sul modello d’origine, con solo qualche goffo ritocco alle cuciture e alle lunghezze, al fine di contrabbandare una crinolina per una minigonna. E, come il modello di origine, cercando di far sorridere pure nel dramma, si prende anche sul serio. Che è una contraddizione in termini.

Dunque, in un villaggio della campagna inglese (che non può che essere ameno) una sorta di bed and breakfast, intitolato ruffianamente Via dalla pazza folla, ospita scrittorucoli velleitari o falliti. Mentre il parassitario padrone, ammogliato e fedifrago recidivo, è viceversa un autore di successo. Di libri gialli seriali. E quindi, fra un via vai di cibi e bicchieri, ecco l’antipasto di battutine amarognole ed evanescenti sui milieux letterari di provincia, presto accantonato a favore della pietanza centrale: il rapporto fra i sessi, strimpellato su tutte le possibili età umane, dall’adolescenza alla maturità avanzata. Al centro, naturalmente, come un pollo dalle gambe lunghe, la protagonista del titolo, così miracolata dalla chirurgia plastica rispetto all’anatroccolo proboscidato degli incongrui flash back, da far supporre un finanziamento interessato della categoria Surgeons &C. I quali tifano inutilmente per la bella bietolona col faccino da fumetto, che prende e lascia nell’ordine: un improbabile batterista che sembra la caricatura brunoscema di Morgan; il bolso scrittore di gialli (e via di gag più o meno scontate tra lui e la legittima cornificata) e infine, per mera assenza di altri calzoni in giro, il fattore campagnolo, non dimenticato flirt dell’adolescenza. Fungono da stentati motori di un’azione lenta e perlopiù noiosissima due ragazzine, colte in quell’età di mezzo in cui si hanno ottime possibilità di diventare delinquenti. Per contorno, alcuni personaggi secondari e molte mucche, che contribuiranno a risolvere il modestissimo intreccio.

Chi ha apprezzato Frears per il difficile e tutto sommato vincente The queen, dimentichi. Qui si riverniciano soltanto situazioni scontate da commedia all’italiana di serie B, però restaurate all’inglese. Il che vorrebbe sottintendere personaggi meno sboccati, battute più da circolo esclusivo che da bar, tempi meno concitati, paesaggi più eleganti come degna cornice. E almeno su quest’ultima ci siamo, perché i cottage fotografati uno può anche sognarseli per una vita. Salvo poi chiedersi come fare a pettinare tutte le mattine l’erba di interi ettari, per mantenerla fotogenica. Curiosamente, anche nel lontano libro all’origine dell’attuale incidente, era la sola campagna a salvarsi: là il Dorset ammantato delle valenze moral sociologiche di Hardy, qui una comunque magnifica location.

Dispiace non conoscere il fumetto da cui il film trae la sua ispirazione più recente, per poter fare dei confronti e tentare di comprendere le ragioni di un tanto strombazzato gradimento. Di sicuro, l’incerta regia qualche cosa ha mutuato: lo schermo concepito ogni tanto come una pagina da riempire; i tentativi sporadici di ritagliarlo in tavole con azioni parallele, peraltro più simili ai dialoghi anni 60 nelle rispettive vasche da bagno fra Doris Day e Rock Hudson, e la colonna sonora del tutto secondaria che nei graphic novel non c’è, e che qui ci si dimentica di ascoltare. Peccato. L’anno nuovo era iniziato benissimo con Hereafter . Siamo solo alla Befana, e già la calza appare semivuota. Anzi, non la calza, la mezza calza.

TAMARA DREWE di Stephen Frears, Gran Bretagna 2010, durata 111 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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