Libri

SECONDO BOUQUET

Nel caso in cui qualcuno avesse ancora voglia di regalare un libro a qualcun altro che avesse ancora voglia di leggerlo :

STONER di John  Williams , Fazi 2012 , 332 pagine , 17 , 50 euro

Ci sono libri che traggono parte del loro fascino dall’ambientazione  che si riverbera sui personaggi , sulle storie , sui luoghi  , illuminando dagherrotipi di tempi passati che ci hanno anagraficamente escluso . Altri che viceversa rappresentano delle parabole universali , a prescindere dalla loro collocazione storica . E’ il caso di Stoner , pubblicato da John Edward Williams nel 1965 , e passato inosservato per la sua “inattualità”a causa di un momento ancora affaccendato verso un futuro di progresso , tra le nebbie pacifiste dei figli dei fiori e i volantini ciclostilati dall’indignazione giovanile . Per poi venire recuperato e rilanciato oggi , in una situazione di incertezza che , dubitando del presente , non sa come schiudersi al futuro , rinunciando agli entusiasmi vitalistici per rifluire sull’eterno senso dello stare al mondo .Il romanzo si apre appena prima della guerra del 15 – 18 e si spinge ben oltre la seconda attraverso la figura di William Stoner , campagnolo folgorato da un sonetto di Shakespeare che gli fa abbandonare i genitori contadini per mettersi al riparo nel mondo universitario , da cui si ripromette la ricerca e la disvelazione dei segreti di un vivere integro che non sa nè prevedere nè programmare . Abituato dall’immutabilità rurale a non cambiare di posto e a subire fatica , povertà , natura , Stoner ha già perpetrato uno strappo a cui rimanere fedele , nonostante tutto . La sua inadeguatezza , rappresentata dalle ossa bitorzolute che inesorabilmente spuntano da polsini sempre retratti , lo porta a rifugiarsi nella parola scritta e nella sua trasmissione , e ad accettare i soprusi definitivi di una moglie problematica , una figlia in fuga , un collega deforme , rastremando in cerchi sempre più asfittici il peso di ogni rinuncia . Eppure la sua apparente acquiescenza dispone di una forza passiva inesorabile e di una saggezza sempre inadeguata ma più profonda di quella dei suoi consimili . Forse è una sorta di Bartleby altrettanto indecifrabile che lotta senza dire di no perchè comprende che non siamo padroni delle nostre vite e che spesso bisogna allentare la presa e lasciarle colare via fra le dita . Tutto quello che succede , tanto e pochissimo , avviene in un modo concentrato e assorto che si nutre di un contesto specifico per meglio connotare l’ineluttabilità di uno spreco , al cui interno si può soltanto perdere giorno per giorno quanto si sta vivendo . Romanzo a suo modo anacronistico eppure pieno di osservazioni acutissime sulla contemporaneità , si avvale di un’arte della scrittura che è al tempo stesso frontale e radente , nonchè così limpidamente carica di una pena irrimediabile da assurgere ad una quiete quasi metafisica . Eppure , contrariamente a quanto si potrebbe pensare , è un libro bello e corroborante non solo per l’ipnosi della scrittura , la fluidità della strutturazione e l’avvincente interesse delle casistiche umane , ma per la pienezza senza aggettivazioni che sanno miracolosamente trasmettere solo le opere assolutamente  necessarie .

IL MONDO DI IERI di Stefan Sweig ,Mondadori 1994 , 364 pagine , 10 euro

Sono passati cento anni dal primo conflitto mondiale , si recuperano o traducono scrittori famosi a cavallo fra le due guerre , le autobiografie imperversano . Dopo quella  centenaria di Mark Twain , ecco quella modernissima di Stefan Zweig , scrittore austriaco famoso e poi dimenticato (1881-1942) . Letto in seguito allo strepitoso film di Max Ophuls  – Lettera ad una sconosciuta , dall’omonimo racconto –  e recuperato in gran parte attraverso gli altri titoli  ( Mendel dei libri , Bruciante segreto , Novella degli scacchi , Paura , Montaigne) è l’emblema di un tipo di letteratura che fonde armoniosamente almeno quattro elementi : l’interrogativo storico – esistenziale , l’accuratissima ingegnosità delle trame , la concisione nitida ed  elegante dell’espressione , lo stato di crisi come rivelazione dell’io . Quindi , mentre il vecchio Mark gigioneggia tra dubbi di forma ed episodi insignificanti , il giovane e poi maturo Stefan ripercorre la sua vita cosmopolita prima per scelta e poi per obbligo razziale , attraverso due periodi di pace e due grandi guerre . Inizialmente come appassionato adolescente , poi da scrittore precocemente conosciuto e osannato  – interlocutore principe di tutta l’intellighenzia europea dell’epoca  –  infine come ebreo apolide , definito da un certificato bianco . Eppure l’io risulta in ombra , discreto , pudicissimo , signorile , delineato più dai contesti e dagli eventi che non dall’insistenza del pronome , quindi vivissima testimonianza epocale in sostituzione del solito ambiguo monumento alla persona . E se si vuole ripassare in modo limpido e commovente la storia del novecento , questa gioiosa e dolente autobiografia di un convinto europeista è il modo migliore e più appassionante per attraversare il cosiddetto secolo breve , di cui noi siamo figli e a cui lo stesso Sweig rispose simmetricamente , avvelenandosi a sessanta anni insieme alla moglie . Tutto quello che c’era da dire , da sopportare e da capire era stato detto , sopportato , introiettato e condannato per sempre.

ARRIVEDERCI LASSU’ di Pierre Lemaitre , Mondadori 2014 , 454 pagine , 17 , 50 euro

Ecco un libro entusiasmante , che concilia il gusto sfacciato della narrazione con quello delle immagini e del pensiero , e attinge l’ultimo dei  tanti coup de théatre proprio dall’elenco delle  elaborazioni -omaggio ai molteplici  autori mimetizzati nelle sue pagine , non troppo diversamente dalle tabulae gratificatorie e mistificatorie di Una storia romantica di Scurati . In scena , ancora una volta , il primo novecento , con la guerra del 15 – 18 come protagonista degli ultimi corpo a corpo , sostituiti nel successivo conflitto dalla distanza delle compagini modernamente armate , dagli enigmi , dalle spie , dai complotti…Qui l’annullamento civile dei sopravvissuti si raccorda con la retorica sugli  scomparsi e con la necessità di collocare i morti sia in cielo che sottoterra mediante due grandi truffe , una documentata , l’altra di fantasia:la speculazione intorno  alle traslazioni dei cadaveri in appositi cimiteri di guerra per convogliare le lacrime di massa ; la vendita di false statue piangenti  in ogni angolo di Francia ( etimologicamente monumento significa  ricordo ) . Pochi sentimenti capitali e pochi personaggi , avvinghiati laocontianamente intorno alla beffa e alla tragedia , lungo un’avventurosità che raccorda  l’esuberanza di Sue alla stringatezza di Diderot e alle geometrie  protocubiste   delle maschere africane , da Braque a Matisse . Con molte altre fonti lasciate alle suggestioni personali dei lettori , dal cavallo post datato di Guernica a quelli ghiacciati di Malaparte in Kaputt , dagli sputi ideologici  di Céline fino all’affarismo emigré e altoborghese della Némirovsky . E un’ultima , piccola sorpresa nel ritrovare fra i protagonisti secondari lo stesso personaggio greco de Il cuore è un cacciatore solitario di Carson McCullers..

CALENDULE CON VIOLETTE  – 1916 – di Felix Vallotton

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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