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L’INDAGINE

Se non si sapesse che molti autori latino americani – Bolano in primis – subiscono il fascino del genere poliziesco per poi stravolgerlo ,  e se non si fosse già letto Cicatrici , si proverebbe disappunto per un “giallo”che s’interrompe sul più bello , e trasporta di colpo il lettore da Parigi al Paranà . Ossia da una neve natalizia che confonde le peculiarità di una toponomastica insistente , perimetrata intorno a Place Léon Blum , alla calura spossata di una gita in barca attraverso un luogo  ”  vergine e disabitato in cui il suolo , l’acqua , l’aria e la vegetazione , trovato ciascuno il proprio posto , si sono lentamente pacificati ” .  Il breve viaggio ha lo scopo di individuare il vero autore di un manoscritto intitolato Sotto le tende greche . Manoscritto che mette in scena una seducente intuizione , affidando la guerra di Troia alla soggettività di due inusuali protagonisti , un vecchio e un giovane . Costui , arrivato da Sparta , è quello che più ne sa della guerra , mentre l’altro , da dieci anni nella piana dello Scamandro  , non ha mai visto un solo nemico , se non da una lontananza anonima e insignificante . Per lui Troia è una muraglia grigia , i capi non lo considerano , non conosce nulla nè dei fatti nè degli eroi . Mentre il ragazzo è al corrente di ogni dettaglio assurto ormai a leggenda presso i Greci che attendono in patria . L’uno si avvale dell’esperienza , l’altro del mito ed entrambi del discorso . Ecco dunque fronteggiarsi all’improvviso due recinti narrativi : quello francese dove un folle lucido come un demiurgo  ( e  quindi esistente in virtù dell’universo che crea ) ammazza in modo orribile decine di donne anziane , la cui mirabile descrizione prende tutta la prima parte del libro , ed è sia la premessa che la ragione di un’inchiesta condotta dall’impassibile commissario Morvan , diviso fra la prossimità e l’ estraneità che gli infonde l’ombra inafferrabile dell’assassino . Ma prima della psicanalitica e funambolica disvelazione , una terza enclave si aggiunge : il memorabile convivio cittadino , frugale e notturno ,  fra il personaggio narrante ed i suoi sodali , intorno ad un tavolo assediato da agonizzanti farfalline bianche come effimeri fiocchi di vita , dove le rispettive posizioni delle sedie offrono punti di vista e quindi testimonianze diverse sui fatti , sulle interazioni , sulle parole , sul proprio  senso o non senso di stare al mondo , in funzione delle personali radici e ferite .

L’intreccio è quindi complesso , spezzato , riafferrato , denso di rintocchi espliciti ed occulti  , così come composito è il rapporto tra l’autore e il soggetto che racconta la storia delittuosa , a sua volta protagonista , insieme agli amici che lo ascoltano ed interferiscono , sia della gita che della cena , secondo quella modalità prospettica a cannocchiale adottata da Conrad per le sue doppie e triple narrazioni nelle narrazioni , per accorciare distanze o allontanare prossimità ( così come fa il cinema dai suoi albori , smontando e rimontando   le sue soggettive e i suoi campi lunghi ) . E per dare alla letteratura le vesti sia di testimonianze reali come di invenzioni fittizie , annullate , confuse e vivificate dalla grande ossessione di Saer : la libertà autonoma dello scrivere ,volta innanzitutto ad unificare  suono e senso ,  ma non secondo i principi astratti di una presunta estetica della narrazione o di una pretesa visione del mondo antecedente il momento della stesura . Non a caso anch’egli  , come Faulkner e come l’assassino , tende a definire i confini di un luogo real –  finzionale ( Santa Fè e la regione del Litoral )  in cui proiettare gli incubi narrativo – esistenziali di una vita schiva nelle amicizie , ma densa di frequentazioni letterarie , intorno a cui si è più volte espresso anche come saggista .

 L’inchiesta è dunque un testo tanto esplicito quanto misterioso , suscettibile di una seconda o anche terza rilettura a breve distanza , pregio singolare , e non sempre ascrivibile nemmeno ai grandi classici . Perchè quello che conta non è tanto l’enigma della trama , quanto il mistero dei significati e delle suggestioni , che si accavallano , si rintoccano e  si snodano per offrire sempre nuove emozioni sia alla mente che ai sensi . La Parigi sonnambolica del commissario Morvan entra ed esce dalla sensibilità del soggetto come se ne fosse un’alterna proiezione , eppure vanta nel contempo un’acribia descrittiva da Baedeker d’altri tempi e una puntualità socioumoristica sugli abitanti e sui tempi degna di un grande studio di costume ( ancora il tema dell’inchiesta ) . Così come la gita è sì un’altra indagine , ma al tempo stesso un pretesto in cui natura e aneliti si fondono con la proprietà impressiva dei ricordi giovanili e delle nostalgie anticipate . Intanto altre torsioni si producono e altre fissurazioni si aprono , nuovi squarci sospesi su cose e persone attendono il loro turno , obbligando chi legge sia a seguire puntualmente le righe sia ad inseguire personalmente  altri spazi . Le frasi , come in Cicatrici , sono lunghe , dense di incisi e di subordinate , eppure godono , non si sa come , di un’apodittica chiarezza , realizzata per riprese multiple e parentesi allineate , attraverso millimetrici spostamenti in successione . C’è una volontà di ribadire , di ancorare ad una presunta pienezza tutto quello che comunque è destinato a sfuggire . Eppure il romanzo non offre il ronzio esasperato e spiazzante delle quattro storie di Cicatrici , bensì accumula e salta , collega e frantuma , inventa e giura , sempre coerente eppure sempre variato in funzione delle diverse situazioni che di colpo si spalancano e si chiudono le une sulle altre . La tentazione di sottolineare spesso e a lungo è continua , perchè tutto il testo è denso di fascinosi incisi sia funzionali che portanti , a fungere da battistrada indipendente nel groviglio dell’intrigo e nella fecondità delle intenzioni . La geniale mise en abime rende sì singolare e accattivante la lettura , ma è il  complesso di uno stile e di una visione singolare del  mondo a conferirle  un’identità autoriale unica e compatta , intorno a cui bisogna avere la pazienza di esercitare un iniziale e iniziatico rodaggio . Per poi entrare e mai più abbandonare una vocazione sicura , che merita molte altre traduzioni rispetto a quelle finora effettuate in Italia .

6

Il libro

L’INDAGINE di José Juan Saer , La nuova frontiera 2014 , 159 pagine , 15,50 euro

L’autore

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JUAN JOSE’ SAER ( Serodino , Santa Fé , Argentina 1937 – Parigi 2005 ) è ormai unanimemente considerato come uno dei più importanti autori non solo del suo paese , ma anche di lingua spagnola . Figlio di commercianti di origine siriana , terminati gli studi si impiega come giornalista ed entra in contatto con alcuni importanti autori . Inizia così a scrivere  romanzi e racconti e nel contempo ad insegnare Storia del cinema ( critica ed estetica cinematografica ) presso L’università nazionale del Litoral . Nel 1968 parte per Parigi , dove si installa definitivamente , pur con frequenti ritorni in patria . Ottiene una cattedra letteraria all’università di Rennes e sposa in seconde nozze la madre della sua unica figlia . Nel 1969 compare Cicatrici , che segna l’inizio di una maturità meno sensibile alle precedenti influenze di Borges . Seguono altri venti opere fra saggi , racconti e romanzi , non ancora tradotti in italiano  benchè pluripremiati , se si eccettuano , appunto , Cicatrici , L’indagine -1994 – e Luogo – 2000 . Colpito da un tumore , muore a 68 anni ed è sepolto al Père Lachaise . Profondo nemico del realismo magico a lui contemporaneo , Saer si avvale , oltre che di luoghi , anche di personaggi ricorrenti come Carlos Tomatis che compare sia in Cicatrici che ne L’indagine . L’opera omnia è ancora in corso di completamento .

La citazione

..”ha capito perchè ..da quando è arrivato da Parigi dopo tanti anni d’assenza , il luogo in cui è nato non gli ha suscitato alcuna emozione : perchè finalmente è diventato adulto , ed essere adulti significa proprio aver capito che non nella terra natale si è nati , ma in un luogo più grande , più neutro , nè amico nè nemico , ignoto , che nessuno potrebbe chiamare suo e che non suscita affetto ma un senso di estraneità , una casa che non è spaziale nè geografica  , neppure verbale , ma piuttosto , e nella misura in cui queste parole possono conservare qualche significato , fisica , chimica , biologica , cosmica , e della quale fanno parte il visibile e l’invisibile , dai polpastrelli delle dita al cielo stellato , o quello che è possibile sapere del visibile e dell’invisibile , e che questo insieme che comprende i limiti stessi dell’inconcepibile non è in realtà la nostra patria ma la nostra prigione , abbandonata e chiusa dall’esterno , ignea e gelata al tempo stesso , al riparo non solo dai sensi ma anche dall’emozione , dalla nostalgia , dal pensiero . “

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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