Film

GEOMETRIA DELLA DISOCCUPAZIONE

“La linea è una lunghezza senza larghezza”. Così Euclide , nei suoi Elementi , terzo secolo avanti Cristo . Forse , se avesse visto questo film , avrebbe modificato in parte la sua elegante definizione . Perchè siamo in una delle rare pellicole contemporanee che accumula in fila i fatti , un piede dietro l’altro , eppure il suo procedere apparentemente elementare  suggerisce altri percorsi sotto quello principale , e l’esplicitazione  uniforme in realtà smargina , deborda ,  crea altri spazi al contorno , allarga la linea .

Si comincia con uno di quegli esemplari duelli di collocamento in cui un candidato disoccupato e riconvertito a caso ( bisogna pur fingere di fare  qualcosa) si  affaccia su una serie di eterni colloqui  atemporali in forma di  cerchio , che è viceversa una larghezza senza lunghezza , poichè si reitera sempre uguale , non sboccando da nessuna parte . Intanto le parole colorano le immagini , con quei dialoghi ormai gergali tanto fintamente pragmatici ( veniamo dritti al punto ) quanto paternalisticamente edulcorati ( speriamo , vedremo , c’è tempo ,   saremo sinceri con lei ) perchè anche il respingimento civile ha pur sempre i suoi pudori . Si prosegue con un interno di famiglia , in cui lo stesso protagonista cena con la moglie e il figlio disabile , tentando di risolvere il suo alieno indovinello/paradosso . Si continua con un altro colloquio inutile su Skype ,  e con un incontro al bar dove gli ex compagni di lavoro , tutti licenziati , oscillano fra i rigurgiti di una lotta di classe ormai ridotta a vendetta privata , e una rassegnazione invocata in nome del mantenimento della propria salute mentale . Poi l’ansia  sembra prendersi una pausa , la coppia genitoriale impara a ballare i rudimenti del rock in una palestra stonata e  li riproduce   nel tinello di casa , insieme al figlio doppiamente amato . Finchè , dopo vari assilli bancari in cui  il cerchio lavorativo si sovrappone a quello economico ( si ha bisogno di soldi per mancanza di  lavoro , ma senza lavoro non si possono ottenere prestiti ) finalmente la svolta : l’assunzione presso un supermercato in qualità di sorvegliante anti taccheggio . Il protagonista passa la barricata e , nello spiare altri miseri colpevoli di infime appropriazioni indebite , rivela la cifra stilistica del film .

Fin dall’inizio , infatti ,  lo spettatore si trova frontalmente davanti ad uno dei tanti casi umani che lo coinvolgono direttamente , oppure gli sfiorano il gomito . E lo vede entomologicamente , come dietro ad un vetro . Ma solo l’osservazione , attraverso le telecamere , dei gesti  degli altri ,  conferisce  una profondità prospettica e quasi voyeuristica  alla  sequenzialità volutamente cronachistica delle immagini :  la narrazione algida e insieme commovente mediante noi  che guardiamo chi a sua volta deve guardare assurge così , anche retrospettivamente , ad uno spessore sia privato che sociologico , e ogni fotogramma si ricolloca in una pienezza che dilata  appunto la linearità , mentre il sommessamente drammatico finale ripropone l’interrogativo di altri labirintici cerchi .

Pochi sono i film che si curano del lavoro con cognizione di causa , così come ancora meno quelli che sanno mantenere una stabilità equidistante dall’invenzione melodrammatica o dalla  dimostrazione dottrinal politica . Questo ci riesce in sordina , senza proclami , grazie anche  all’intonata simbiosi con la minimalità dolente di Vincent Lindon , attore di palese estrazione alto borghese ,  eppure credibilissimo nelle acquiescenze forzate come nelle silenti e coraggiose ostinazioni  .

 Storia di uno tra i tanti e nel contempo affresco di una contemporaneità occidentale che fa a sua volta naufragio – seppur  diversamente da quelli che pretende di non ospitare – La legge del mercato è un film naturale eppure millimetricamente studiato , che riesce a suggerire le ferocie normali e i perversi paradossi che ci contraddisguono ; con la sola pretesa  di filmare , quasi amatorialmente , le odissee giornaliere di un  nucleo a sua volta sfiorato da tante altre tangenti al cerchio – ancora Euclide – che , pur non attraversandolo , lo toccano in un solo momento e in un solo punto , ma ne determinano il successivo ,  consapevole destino .

Certo ,  per i nostri gusti ormai drogati da eccessi ipercinetici , c’è forse qualche indugio di troppo , anche se il tempo quasi reale rafforza la credibilità del quotidiano . Certo , capita di provare qualche nostalgia per i fratelli Dardenne o per Laurent Cantet , non tanto nei tagli narrativi , ma in qualche mancata invenzione o trasfigurazione autoriale . Tuttavia , diversamente , questo sarebbe un’altra opera e , alla fine , forse non esprimerebbe con tanto semplice disincanto la schizofrenia attuale , che spreca e tradisce molte esistenze , con tutte le ansie e i dolori che sobbollono sotto la lunga e larga linea di tante stentate apnee . Che il film arriva lodevolmente a rappresentare , mostrando con minuziosa , accorta aderenza pochi fatti e pochi caratteri , per lasciare immaginare e condividere molto altro , con partecipe , trattenutissima pena .

5_MEZZA

LA LEGGE DEL MERCATO di Stéphane Brizé , Francia 2015 , durata 92 minuti

TABELLA LA LEGGE DEL MERCATO

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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