Libri

DROOD

Il 9 giugno del 1870 Charles Dickens muore, lasciando incompiuto il suo ultimo romanzo, Il mistero di Edwin Drood: nerissimo, ambiguo, allucinato, a sfatare, se ce ne fosse bisogno, la sua nomea fasulla di scrittore per ragazzi, immelensita dalle tante riduzioni buoniste di David Copperfield, Oliver Twist, Racconto di Natale e così via di Walt Disney e di Padri Mariani.

Nel 1997 esce in Italia La verità sul caso D, superbo puzzle indiziario di Fruttero e Lucentini, che si fanno aiutare nella decifrazione dell’incompiutezza da grandi investigatori quali Padre Brown, Sherlock Holmes, Dupin, Maigret, Marlowe, Wolfe, Poirot eccetera … Nel 2004, Leon Garfield, autore di parecchi romanzi ispirati a Dickens e a Stevenson, nonché sceneggiatore per cinema e televisione, si lascia affascinare dalla tentazione di completare il lavoro interrotto da Dickens, affiancandogli il proprio cognome, con esiti seri e assolutamente benemeriti.

Nel 2009, negli Usa, esce infine questo Drood di Dan Simmons (autore noto per i suoi libri di fantascienza, in particolare I canti di Hyperion) sopraffacente ed ipertrofico baraccone di pregiata cartapesta, godibilissimo anche senza la conoscenza dei riferimenti precedenti. Anzi, data la mole e l’ambizione, è l’ideale per accompagnare sotto le coltri una benevola influenza/convalescenza, o per smaltire da soli gli eccessi da famigliari e da cibo, dovuti alle festività sempre meno sante.

Tutto ebbe inizio il 9 giugno 1865, con l’incidente ferroviario di Staplehurst, in cui morirono una decina di passeggeri e in cui fu coinvolto realmente anche Charles Dickens. Ne scrive, in prima persona e come testimone dei fatti, Wilkie Collins, inventore del romanzo di investigazione (La donna in bianco, La pietra di luna), famoso all’epoca quasi quanto Dickens, nonchè suo amico e collaboratore al settimanale Household Word, che pubblicava a puntate i romanzi di entrambi. In realtà , Collins è testimone non dell’incidente, ma del racconto che ne fa l‘inimitabile sodale, introducendo a mo’ di prequel l’enigmatica, minacciosa, ossessiva presenza di Drood. Che comincia a giocare con i due scrittori una partita mortale, con continui ribaltamenti di fronte e di credibilità, complici l’oppio, la morfina, le sette assassine, i riti esoterici di matrice egizia, il mesmerismo (qui semplificato in forma di ipnosi). Con poliziotti doppio o triplogiochisti che si calano nei sotterranei londinesi sotto White Chapel, mentre in superficie la vita continua fra un tè e un tour letterario, un amore clandestino e una riunione di famiglia.

L’ossessione della creazione è accompagnata a quella dei soldi e delle scadenze, le visioni si confondono con la realtà, personaggi famosi si mescolano alle comparse, l’oblio degli omicidi precede la calcinazione delle ossa all’ombra della cattedrale di Rochester. Secondo un gioco di specchi e di labirinti lento e al tempo stesso in corsa ansimante, dove tutte le suggestioni del romanzo gotico inglese diventano un vizio che non si può lasciare, nobilitate dall’acribia della documentazione storica e da una sorta di ingegnosissima costruzione barocca di tono giornalistico – che di fatto è un romanzo sul romanzo e dentro il romanzo.

Le suggestioni sono infinite, e si possono gustare con lo stesso spirito con cui si affrontano I misteri di Parigi di Sue o I beati Paoli di Natoli, ossia consegnandosi semplicemente e completamene allo stupefacente proliferare delle trame, oppure scavando in contemporanea anche ad altre profondità: perché il libro , oltre a essere dottissimo senza darlo a vedere è ,soprattutto, una straordinaria inchiesta sul concetto del doppio in letteratura, di eminente matrice stevensoniana.

Doppia è la realtà che trascorre continuamente nella fantasia e viceversa; doppia è la Londra di superficie rispetto a quella angosciosa delle sue viscere sotterranee e dei suoi luridi e feroci segreti; doppia l’amicizia tra i due scrittori, giocata sulla sudditanza, l’ammirazione, l’invidia dell’uno e la superiorità affettuosa ma anche ferocemente cinica dell’altro; doppio il rapporto fra vita e letteratura, fra storia documentata e invenzione. Doppio infine il calvario della creatività che sembra annidarsi nel cervello di entrambi gli scrittori sotto forma di un realissimo scarabeo stercorario: che s’insinua, rode, si sposta, affacciandosi ogni tanto dagli occhi dolenti dei due, a significare la doppia vista distruggente e vitale di chi alla scrittura è vocato.

Se ne emerge storditi e un po’ sconquassati dagli eccessi, dalle ridondanze, e con qualche riserva su una qualità di scrittura talvolta discontinua, ma con la voglia di rifrequentare ancora Dickens, i cui libri meno noti (e assolutamente più sorprendenti, in quanto fuori dall’agiografia abituale) sono stati tutti pubblicati in Italia soltanto negli ultimi vent’anni: Dombey e figlio (2001), Casa desolata (2006), Tempi difficili (2009), Grandi speranze (2002), Il nostro comune amico (2006). Quindi “recenti” quasi quanto l’ultimo Ammaniti. Per questi però non ci si deve chiedere (come fa ultimamente a proposito Sandra Petrignani) per chi scrive lo scrittore: Dickens scrive per tutti ed è come l’oro nero: a scremarlo con un cucchiaino da tè o a trivellarlo in profondità, sempre oro si trova.

DROOD di Dan Simmons, Elliot 2010, 815 pagine, 19,50 euro

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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