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Ho la fortuna di abitare da anni , seppur saltuariamente , nel cuore del centro di Torino , ma potremmo parlare di tanti diversi luoghi .  Dalla misteriosa cartolarizzazione dei palazzi Inps di via xx Settembre , avvenuta alcuni anni fa , gli affitti dei negozi pare si siano alzati in modo esponenziale , inducendo grandi marchi e firme storiche   all’abbandono : in parte  per il combinato disposto del rapporto costi/crisi , in parte per l’indisponibilità di un futuro da cui rilanciare , essendo parecchie generazioni di commercianti arrivate ad una età in cui non si azzardano più scommesse di medio – lungo periodo . Il risultato è una via Roma occupata dalle grandi catene di abbigliamento e da altri empori di stracci meno blasonati , che potrebbero rappresentare comunque un’offerta competitiva se non fossero implacabilmente tutti uguali . Nel contempo l’intero quadrilatero da via Mazzini al Po ha riverniciato le vecchie botteghe artigiane , trasformandole nelle più disparate boutiques : dalla mozzarella di bufala piemontese alle torte di design in simil cartone , dal fai da te improvvisato  – e scopiazzato  – di collane e sciarpine , agli origami incerti di varia inutilità , fino al pullulare di baretti e ristorantini amatoriali di belle speranze , scarsa insonorizzazione e menù colpevoli di terra  mare cielo – più una preghiera agli dei che un’offerta gastronomica . Spesso ogni semestre , e frequentemente ogni anno , questi esercizi chiudono , per lasciare spazio ad altri tutti improntati alla medesima filosofia : proviamoci comunque .

A questo punto sorge la solita domanda spontanea : perchè questi dispendi di energie e di soldi in funzione di un avvicendamento rotatorio che non può certo rappresentare un utile , dato il rapporto tra affitto – o investimento iniziale –  alto e  numeri di vendita comunque bassi perchè non seriali , nonostante un ricarico magari interessante sul prezzo unitario rispetto al costo ? La prima ipotesi è culturale : inseguire i miti del momento , in particolare il food , basandosi sulla loro esteriorità , non solo non disponendo di elementi di marketing , di economia , di organizzazione , di logistica ecc ma nemmeno della coscienza che questi sono lavori durissimi che esigono specializzazione , flessibilità , abnegazione . Con un paradosso aggiuntivo : siccome bisogna cominciare con un nucleo ristretto di familiari od amici , se hai successo spesso non riesci a tener dietro alle ordinazioni , e fallisci ; se non hai successo , fallisci lo stesso . La seconda ipotesi riguarda la legalità : nasce il sospetto che alcune – molte , poche? – siano attività di facciata , svolte per occultare eventuali altri traffici , a cominciare dal riciclaggio di denaro sporco . La terza è più patetica e triste : complice la disoccupazione e la non preparazione di  figli ormai 30/40enni , molti genitori pensionati vengono indotti ad impegnare quello che resta delle loro liquidazioni nel supposto talento ideativo/manuale  di famiglia – era così brava/o all’asilo a preparare regalini di sughero  . Risultato  : offrire a prezzi alti o bassissimi – dipende dall’autostima che non è mai un elemento di mercato –  ciarpame inessenziale all’insegna dell’original -carino , raccattabile su internet come su qualsiasi altra bancarella . E qui si chiude il loop mortale fra questa terza ipotesi e la prima . Clienti poveri o ricchi – è un’invariante – che passano via frettolosi dopo una sommaria occhiata , titolari incompresi che fissano per ore il soffitto dietro le vetrine , genitori che non possono ricorrere ai loro vecchi o perchè defunti o perchè a loro volta assistiti . Intanto l’ascensore economico sociale scende inesorabile e tutti si arrabattano improvvisando , ma sempre con un tocco “artistico ” o modaiolo : guai all’idraulico , no all’infermiere , sì all’artigiano purchè senza lungo e umile apprendistato e , soprattutto , con visibilità in centro . Più amen che prosit .

IL BUON GOVERNO  – 1338 ,1339 – di Ambrogio Lorenzetti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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