Film

L’ALBERO

Dopo la sua prima opera “Da quando Otar è partito”(2003) ,la quarantatrenne regista francese Julie Bertuccelli torna ad affrontare il tema dei vuoti che si formano intorno alla scomparsa di una persona amata.

In questo suo secondo film siamo nei pressi di Brisbane, dove vive dignitosamente, accontentandosi di poco , la famiglia felice della ancor giovane Dawn. Che sorprendiamo aggrovigliata all’avvenente marito in un’amaca perfetta per ospitare una passione ancora fisica, ma resa anche complice e scherzosa da anni di consuetudine e da quattro figli. Mentre la casa sarebbe un incrocio qualsiasi fra una baracca su palafitte ed una prefabbricata villetta a schiera, se non disponesse di un nume tutelare d’eccezione: un maestoso e labirintico albero che, mentre la protegge, la invade e la mina con la prepotenza estensiva delle sue radici.

Paese di grandi spazi dalla modernizzazione un po’ ingenua, l’Australia consente il trasporto di intere case via camion; e nella seconda scena vediamo il marito – che evidentemente lo fa di mestiere – trascinare questo strano manufatto per terre sabbiose, da subito contrapponendo la solida immobilità della natura – che però cede definitivamente ai grandi sommovimenti metereologici – alla mobilità degli umani, capaci di soffrire ma anche di svoltare e di rifondare altrove un nuovo futuro.

Infatti , di ritorno dal viaggio, il padre improvvisamente muore di infarto, gettando la vedova in una disperazione prossima alla malattia , mentre i figli reagiscono come possono. La prediletta secondogenita, per esempio, individua nell’albero la presenza del genitore, innalzandolo a confidente protettore ed a rifugio amico. Poi i giorni trascorrono, la madre sembra trovarsi con il lavoro anche un nuovo fidanzato, finchè una delle più belle tempeste cinematografiche dello schermo azzererà tutto, compreso l’albero simbolo, consentendo, seppur in negativo, la catarsi necessaria per guardare da un’altra parte, senza dimenticare.

Concepito e girato in modo tipicamente femminile, attento a tutti quei semplici dettagli domestici che sono nel contempo i modi di esprimere i differenti percorsi psicologici dei personaggi, il film amalgama con garbo sottile i grandi temi della morte e della vita con un animismo privo di magia, eppure per questo tanto più convincente. Essendo ogni piccolo o grande atto della natura partecipe dell’assenza, dello smarrimento, del lutto, come anche della invadenza del ricordo e della spinta quasi biologica che porta ad aggrapparsi alla vita finchè si è vivi. E quindi le rane, i pipistrelli, le iguana al posto dei conigli e delle galline, come anche i rami, le foglie, i vasti spazi, i tramonti, il Natale al mare. Ma senza che un esotismo accattivante e di maniera si sostituisca ai vari drammi che si vengono rappresentando, con una forma di partecipe, onesta , anche affettuosa crudezza.

Nessuno imbonimento mielato dunque nei confronti dello spettatore, che si ritrova a percorrere un itinerario già noto, eppure reso nuovo e interessante grazie alla onesta genuinità del punto di vista. Basato su di un’accorta e sensibile preparazione , che ha nella scelta dell’ambientazione uno dei suoi principali punti di forza; ben assecondato inoltre da una sceneggiatura asciutta ma puntuale, nonchè da una particolare fotografia dal fascino quieto e sempre armoniosamente funzionale ,intonata alla bella colonna sonora, che commenta e accompagna senza invadenze.

Una menzione a parte la merita Charlotte Gainsbourg, attrice dalla particolarissima e elegante non avvenenza, eppure capace di andare ben oltre la mera bellezza. Forse perchè altrimenti noncurante in tal senso, a differenza di molte sue colleghe. E quindi sempre molto naturale e convincente. Come anche tutto il resto del cast.

Uno dei pochi film della stagione onesto anche nei confronti dei sentimenti e delle emozioni, capace sempre di interrompersi prima della procurata lacrima, con contenuto pudore. Non un capolavoro memorabile, ma un ottimo prodotto artigianale, con una sua sommessa ,nobile e intelligente dignità.

L’ALBERO di Julie Bertuccelli, Francia Australia 2010, durata 100 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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