Nel 2002 , il quotidiano  Boston Globe pubblicò un’inchiesta tesa a denunciare che in  città i casi di preti pedofili non solo raggiungevano numeri da incubo , ma venivano coperti da un sistema che  non sanzionava pubblicamente i colpevoli , bensì  li spostava di sede , transando economicamente in silenzio le poche cause intentate dalle vittime , complici a vario titolo gran parte delle istituzioni civili e religiose . L’allora cardinale Bernard Law ( sarcasmo dei cognomi ) fu costretto a dimettersi e a  tutt’oggi ricopre la carica di arciprete emerito presso la  chiesa romana di Santa Maria Maggiore . Le rivelazioni dell’epoca si estesero poi ad altre diocesi statunitensi fino a varcare l’oceano e coinvolgere vari paesi europei …

Il caso Spotlight ricalca dunque le orme di parecchi film anglofoni sul giornalismo di investigazione , eleggendo come modello l’insuperata  pellicola Tutti gli uomini del presidente ( Alan Pakula , 1976 ) sui due  celebri giornalisti del Washington Post intorno al caso Watergate , seguito  dalle dimissioni  di Nixon .Teso come un filo tra l’omertà delle controparti sociali ( ” ci vuole una comunità per allevare un bambino , e ci vuole una comunità per abusarne “) e lo smarrimento degli appena puberi adescati ( “non si può dire di no a Dio “) il titolo mette in scena  non solo un caso che fece epoca , ma collega con fluido scrupolo parecchi temi : le differenze tra il giornalismo tradizionale , che dà per acquisita la legittimità delle fonti ufficiali , e quello d’inchiesta che non ha fretta , scava nel tempo e raccoglie informazioni di prima mano direttamente dagli interlocutori  coinvolti ; le psicologie dei carnefici e delle vittime che , diventando fenomeno di massa e non specifici casi isolati , danno il via ad uno studio analitico sulle rispettive modalità – tipo  di azione e reazione ; lo sfondo sociale , caratterizzato dall’impunità del potere temporale e spirituale nei confronti di minori inermi , bisognosi di attenzione perchè provenienti da contesti  disagiati ; il conflitto morale e civile etimologicamente interno alla parola scandalo ( molestia , impedimento , segreto ) . Il tutto dentro  una narrazione a più voci che non ha l’andamento catturante ed ansiogeno di un realissimo , orrorifico thriller , ma si avvale di una struttura armonicamente chiara , che riesce a eludere un sempre incombente didattismo illustrativo . Grazie soprattutto ad un copione autorevole , ed a un’ambientazione claustrofobica  – scale , archivi , corridoi – nonchè  alla buona prestazione professionale degli attori ed a una concatenazione veloce degli eventi , abilmente montati e  sorretti  non tanto dai singoli e abbastanza anonimi personaggi , quanto da una tessitura puntuale di  dialoghi volutamente dimessi .

Intendiamoci : ancora una volta la nobiltà dell’argomento e dell’intento non rende  altrettanto nobile il prodotto per automatica osmosi . In questo senso la pellicola , con i suoi già numerosissimi premi , appare forse  sopravvalutata in ragione del  suo quasi sottaciuto impatto emotivo , trattato  con commendevole pudore , senza approfittare spettacolarmente di un argomento limite . Le coscienze e le sensibilità degli spettatori vengono quindi direttamente chiamate a completare un esplicito che rimane anche  implicito ,  e non si bea di giornalisti eroi , ma di  impiegati scrupolosi e determinati che fanno gli straordinari rinunciando al proprio privato . Thomas McCarthy evita così ogni melodrammatico effetto  e offre un esempio di inusitato rispetto nei confronti del suo tema , ma evidenzia anche i limiti di un approccio artisticamente canonico e senza soverchie sorprese o ispirazioni  , con qualche contingente flessione di ritmo .

IL CASO SPOTLIGHT di Thomas McCarthy , USA 2015 , durata 128 minuti