Libri

DUE

Guardando le ormai ben 11 copertine dei libri di Irène Némirowsky, sin qui pubblicati da Adelphi, si viene subito catturati, prima ancora che dai titoli, da quei due accenti sulle vocali del nome e del cognome: uno grave ed uno acuto, così prossimi e così divaricati, come mani aperte su preghiere inesaudite, o allontanate pudicamente in un atto di confine fra la costernazione e lo stupore.

Perché stiamo parlando di una della più raffinate scrittrici francesi della prima metà dello scorso secolo, nata a Kiev nel 1903 e morta ad Auschwitz nel 1942, dunque all’interno di una parentesi innaturale di solo 39 anni. Genio precocissimo che scrive a 26 anni il suo romanzo più bello, David Golder, per proseguire fino a questo Due, senza mai mettere non dico un piede in fallo, ma neanche lontanamente deludere. Con titoli sempre minimali, di una concisione meditata, in cui tutto in qualche modo è già annunciato e compiuto.

In questo caso, Due è la coppia di uomo e donna, quella simbolica e quella reale, che regge l’architrave della intera storia, mentre altri numeri si amano, si lasciano, si nascondono, si riprendono e si tradiscono nel gioco di vite scandite da tre soli momenti, l’uno contiguo ed estraneo all’altro: l’infanzia, la giovinezza e la maturità, per riprodursi tali e quali nelle generazioni successive. Quando solo osservando la morte di chi ci precede si comprende qualche cosa a cui non si può più porre rimedio.

Sintetizzata così la trama, verrebbero in mente le parole di Aldo Busi in Seminario sulla gioventù: ”Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente. Neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce con il tempo ad un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco”. Tuttavia, benché anche questa sia una delle angolazioni del romanzo, Due è anche una storia sul senso della vita che si condensa in pochi attimi d’attesa: attesa del mistero del sesso compiuto, nelle prime carezze scambiate con partner che sono pretesti o controfigure di noi stessi; attesa degli incontri illeciti, quando le scelte reciproche sono state fatte. E sprofondando nel sublime o nell’inferno chi è stato punito od esaudito, come se ancora comunque dalla sola volontà dell’individuo potesse veramente dipendere il destino. E poi, per molti dei numeri di cui parlavamo, il grigio: quello dei giorni che si accalcano ripetitivi e delusi, e si rastremano via via ad una casa, una stanza, una persona od un oggetto finale.

Mentre i Due personaggi principali rispondono ad un altro quesito di fondo, all’interno delle loro esistenze: come può avvenire nell’unione coniugale il passaggio dall’amore all’amicizia? Quando si cessa di tormentarsi l’un l’altro per volersi veramente bene? Ed ecco che il non senso della vita prende una sua imprevista, quanto percorribile deviazione, che Irène indaga con pietà e tenerezza. E con la lucidità tolstojana di un ottuagenario illuminato. Perché lei, della torta della vita che lascia presagire così come dello spumeggiare delle bevande, ti presenta solo una fetta: originale, sobriamente ornata, squisita di rimandi precisi e retrogusti che si riecheggiano l’un l’altro. Confezionata con un’arte da scultore di vaglia.

E mentre la si assapora, frase dopo frase, il miracolo proustiano torna a realizzarsi: seguiamo la vicenda, tagliata e costruita sempre con angolazioni di un certo pathos, e al tempo stesso ripassiamo memorie, dettagli, dimenticanze, pensieri, episodi delle nostre stesse vite. In virtù di uno stile secco e aggraziato che non ha niente a che vedere con quello della Recherche, e di una capacità di comprendere senza cinismo, ma senza tremori, l’essenza stessa dell’esserci. Come se quei pochi trentanove anni fossero stati un lungo presagio o una intensa meditazione su di un tempo individuale che doveva comunque assolutamente bastare.

Così l’inizio: “Si baciavano. Erano giovani. I baci nascono in modo così naturale sulle labbra di una ragazza di vent’anni! Non è amore, è un gioco; non si insegue la felicità, ma un attimo di piacere. Il cuore non desidera ancora niente: è stato colmato d’amore durante l’infanzia, saziato d’affetto. Che taccia, adesso. Che dorma. Che lo si dimentichi! Ridevano, si sussurravano a vicenda i loro nomi…”.

DUE di Irène Némirovsky, Adelphi 2010, 237 pagine, 18,50 euro

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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