ANTONIO SCURATI : ALTRI DUE LIBRI
LA SECONDA MEZZANOTTE , Antonio Scurati , Bompiani 2011 , 343 pagine
‘A volte ciò che viene dopo è più antico di ciò che viene prima’. Con questa frase che ci sembra rappresentare la chiave del libro, Antonio Scurati gioca con il tempo e ci trasporta a Venezia, nel 2092. La supremazia cinese e una catastrofe ecologica hanno definitivamente ridisegnato gli assetti geopolitici del mondo, con una Europa configurata in Aree legali, Territori insicuri, Zone di ripopolamente. Molte le regioni sommerse e le superfici terrestri date per incognite. Mentre Venezia, da sempre luogo letterario per eccellenza, è a sua volta radicalmente mutilata, sopravvivendo ritagliata soltanto intorno al sestiere di San Marco : ai confini, un ossessivo muro di cinta che la condanna e la esalta a perenne Luogo di attrazione mondiale, gestito da una multinazionale del divertimento. In prossimità, la stessa incognita lagunare continua a configurarla come un topos unico, assediato dal suo stesso isolato disfacimento, a perpetuare il fascino mortuario e nel contempo dinamico proprio degli organismi che si decompongono vivendo . Al centro della trama, l’enigmatica figura del Maestro, che somministra la vita e la morte gestendo la scuola di gladiatori che si esibiscono all’ultimo sangue nel circo di piazza San Marco, mentre la folla di turisti si esalta e si perde nella morte altrui, nelle droghe, nell’alcool, nel sesso. Lontana, ma quasi in parallelo, la ribellione del campione Spartaco, che si rifiuta di combattere, percorrendo da solo una sorprendente e puntualissima città di rovine ,alla ricerca di un varco verso l’altrove. Intorno, tante figure emblematiche e mai secondarie alla narrazione, incastrate nell’aporia che rende significanti le loro vite in quanto schiavi funzionali, a fronte di una libertà ormai superflua, perchè svuotata di qualsiasi significato. E, in un posto in cui l’infanzia non è più prevista, un vagito come un possibile spiraglio, a suggellare un libro affacciato su una sorta di disperante vertigine cristallizzata. In cui, come sotto la teca di vetro che protegge Piazza San Marco, si continuano a perpetrare tutte le possibili forme di atrocità, unica possibilità di godimento che assicuri ai viventi di essere ancora in vita. Più che un romanzo di genere, un ambiziosissimo pastiche psico-socio-politico-economico, che gioca su un’attualità appena prospettica, tentando di mettere a nudo i paradossi che stiamo vivendo, seppur distratti dall’iterazione della quotidianità: la rivoluzione della rete, il possibile collasso economico dei molti rispetto alla prosperità dei pochi, il “disadattamento definitivo a fronte delle assurde pretese della realtà” con la conseguente tendenza a “godere per la vita intera di privilegi embrionali”. Le chiavi di lettura sono più trasparenti che ingenue, e la stessa costruzione del libro potrebbe risultare semplicistica. Ma il condizionale del verbo si frantuma grazie alla perizia con cui vengono collazionati i vari elementi: la futurologia volutamente o no quasi d’accatto , i cine-peplum gladiatorii gonfiati di muscoli e di sangue , riconfigurati dagli spettacoli televisivi di wrestling; la mitologia impudica della morte accasata al decadentismo rappresentato dall’emblema stesso della Città- simbolo per antonomasia; il riempimento fumettistico di quei luoghi che Corman McCarty ha viceversa apocalitticamente provveduto a svuotare… e via elencando, in una febbricitazione lucidamente allucinata di luoghi comuni come di autopsie nobili. Tutti salvati e trasfigurati dalle certezze quasi miracolistiche della scrittura. Che riesce a descrivere, insistendo eppur sempre variando, ogni verosimile o inverosimile dettaglio trasfigurando la competenza specifica in autorevolezza poetica. Per cui, mentre la mente tenta di ragionare, i sensi vengono cupamente avvinti dalla musicalità insistita delle stesse note, resi insaziabili come da quelle canzoni regressive dell’adolescenza, in cui si riusciva ad ascoltare per l’intera giornata lo stesso cd. Ci si aggira con sgomento masochismo in una città minuziosamente riportata come nella cartina che correda il libro, e ci si sorprende di punti di vista noti e inusitati, con l’orribile sollievo fatalistico che si prova all’accadere di quanto a lungo paventato. Così come ci si incanta dei corpi, dei corredi di guerra, dei gesti di offesa e difesa, delle liturgie senza tempo, bloccate in una sorta di sapientissima modernità anticata, o viceversa. Mentre l’effetto ipnotico spinge a non staccarsi dal libro, quasi a sperimentare sullo stesso lettore l’assunto dell’autore, vengono in mente gli echi di altri personaggi e altre storie, inframezzati dall’intercalare spesso anche apodittico di Scurati:”Si tiene consiglio di guerra anche prima di una sconfitta”.E di descrizione in descrizione , di dialogo in dialogo, di aforisma in aforisma, di trasfigurazione in allusione, si arriva alle ultime pagine con il rimpianto già imminente della fine. Magari un po’ maledicendo la propria mai sospettata vocazione pulp, ma paghi di aver ricevuto anche qualche spunto di riflessione in più sulla contemporaneità.
IL PADRE INFEDELE , Antonio Scurati , Bompiani 2013 , 188 pagine
Correva il rischio di essere una storia du coté de chez Elle -il rotocalco femminile- ma Scurati, da vero scrittore, si libera di un racconto gravido di ossimori esistenziali, come spesso accade quando si varca una soglia. Soglia complessa, più attraversamento di uno spazio che valico di un confine, intorbidata dai tanti luoghi comuni accumulati nei secoli. Invece chi sa creare e, soprattutto, osservare e riflettere, riesce a narrare due forme d’amore con un’immediatezza da primo uomo, reso antico e attuale da eternità di suggestioni maschili che si addensano in una sorta di ferina genetica dei costumi , insieme privatissima e universale. Uno dei tanti matrimoni con conseguente nascita di una figlia diventa così occasione di trama , invenzione di caratteri e di situazioni, analisi di condizioni e di condizionamenti, destino, tra lunghe frasi risincopate da Proust e brusche chiose in forma di aforismi definitivi. Si legge con lo stesso piacere con cui si segue un corso d’acqua, e si rilegge per sostare ad esaminarne il fondo, confrontando inconsciamente il vissuto rappresentato con il proprio. Uno dei rari esempi in cui un dettato temerario si fa tanto passione quanto ideologia, assumendo altresì l’inusitata o implicita forma di un contro-manuale sullo stare al mondo, per giovani di mezza età. Ma così, quasi di striscio, perchè l’accumulo dei diversi piani di lettura non ostacola l’intrattenimento, reso anche in questo caso cogente dalla quasi paradossale curiosità di sapere come andrà -e come andremo- a finire.Anche se si sa.