Film

I FRATELLI D’INNOCENZO E DOSTOEVSKIJ

Senza nessuna ossequienza alla sindrome del non spoileraggio , che oggi imperversa come se solo la sorpresa giustificasse l’uovo di cioccolato che la contiene, della trama di Dostoevskij diremo poco o niente . Preferiamo goderci questa miniserie in sei puntate dei fratelli D’Innocenzo , miracolosi gemelli diversi del giovane e già sapiente cinema italiano, guardando a questa geometria escheriana con lo spirito rodato di chi , per lunghe assistenze corporali , non arretra di fronte alla caduca fisicità dei corpi fatta di vomito, sangue, escrementi, piaghe e spurghi vari , ben più neutramente naturali rispetto alle pulsioni segrete degli animi e delle menti . E, senza scomodare Laing o Stevenson piuttosto che True detective o il grande Fedor ,scrittore esistenzialista e psicologista da cui la serie prende non a caso il nome , diremmo che è un’opera su chi sconta la vita come pena , ma opponendosi alle proprie pulsioni peggiori per proteggere gli altri secondo giustizia , e chi assorbe il male generato dalla società e alla stessa società lo restituisce , colpendo per giunta a caso ( tanto vivere è la colpa che ci accomuna tutti ).

Da questo duello fuori dai ruoli e dagli schemi fra due individui che non hanno nulla da perdere ,ridotti ad automi da un andare comunque avanti secondo l’inesorabile legge di ogni fiume, ci interessa in particolare il come , ossia appunto l’involucro dell’uovo.

E in principio c’è la parola, rarefatta allo stremo in chi indaga , disturbato al punto da essere quasi asocialmente silente , e l’assassino che viceversa estrinseca scrivendo in stampatello il proprio delirio interiore, come se l’atto omicida fosse funzione del pensiero che lo illustra, confessione intima in forma contraffatta di una cultura alta , semplificata aforisticamente , nonché giustificatoriamente fatta propria . Poi ci sono gli ambienti : da quelli sociali, in guisa di fortilizi labirintici che evocano le circonvoluzioni organiche del cervello , a quelli personali in forma di case che , per quanto sgangherate e immonde , rimandano comunque all’inevitabile addomesticamento umano di ogni bunker o prigione , fino all’intimità dirimente dei frigoriferi , ciascuno più eloquente di un saggio di Recalcati . Intorno, una luce di erba e di acque che fa rimpiangere tutte le ingenuità e gli stupori perduti , e degli anonimi agglomerati urbani colmi di un buio scrostato e scevri d’ogni grazia o funzionalità.

Si guardano le prime due puntate , lentissime , con un sopracciglio alzato , temendo una riedizione manieristicamente violenta di ogni forma canonica di genere . Poi la sinfonia dispiega le sue trame , ricerca i suoi motivi, attua i suoi ritorni , e tutti i contrappunti letterari, estetici e sonori vanno progressivamente al loro posto secondo l’originale talento di due registi che sanno immaginare, scrivere e dirigere i film e gli attori in maniera complessivamente sempre riconoscibile e apprezzabile , addirittura malgrado l’approfondita cultura e la ricchezza di citazioni.

Fino al The end che sembra non piegarsi a ulteriori appuntamenti seriali , ma prolunga la sua conclusione con una chiosa insospettata da parte di quel coro di secondi interpreti e comparse che addensa sociologicamente la musica dolente dell’insieme . Che sia cronaca o fiction , nasciamo e moriamo sconosciuti a noi stessi e agli altri , e in questo caso la consapevolezza è concessa solo allo spettatore.

DOSTOEVSKIJ di Damiano e Fabio D’Innocenzo, Italia 2024, sei episodi ( Sky Atlantic e on demand)

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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