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IL PAESE DELL’ALCOL

Quando nel 2012 vinse il premio Nobel per la letteratura , circolò , nemmeno tanto sommesso , l’ormai abusato interrogativo Mo Yan chi ? Mentre coloro che avevano una memoria cinematografica lunga , ricordarono  l’Orso d’oro berlinese al film Sorgo rosso di Zhang Ymou – 1988 – tratto dai primi due capitoli dell’omonimo romanzo , fluviale storia familiare dagli anni venti agli anni settanta . E andarono poi a leggerselo nell’edizione Einaudi del 1997 , scoprendo una Cina villica e crudissima , densa di soprusi immobili e di radici mitologiche ,  prossima a scomporsi nell’anarchia che accompagnò il primo periodo della rivoluzione culturale .

Il paese dell’alcol ( 1992 , appena tradotto sempre da Einaudi ) cita frequentemente Sorgo rosso ,  ma invece di riportarci a grandi epopee classiche di matrice eminentemente storico-romanzesca , conduce dritto ad una sorta di  iperrealismo onirico che l’occidente deve più all’immagine che non alla parola . O almeno così ci  viene da pensare , fagocitati da ebbrezze violente e ironiche alla Takeshi Kitano ,  dalla preziosa sconfessione della forza di gravità de La tigre e il dragone , nonchè rapiti e sconvolti dalle prolisse genialità tarantinesche di Kill Bill , oppure boccheggianti per i manierismi vuotamente misteriosi del peggior Lynch ( Strade perdute ) .

Praticando poco  la letteratura cinese ( anche se uno dei libri della vita è Gelide notti di Pa Chin ) si brancola in un buio vivido di colori , e l’impressione che se ne ricava è quella di essere inermi di fronte ad un ospite misterioso che viceversa ci conosce benissimo . Al punto da anticipare di almeno una quindicina d’anni l’ossessione per l’alcol e il cibo che ci sta sommergendo , in bilico tra l’estetica e il nominalismo , l’esoterismo e  le tradizioni , il marketing e la contaminazione di tutto e del contrario di tutto . Come se i sensi fossero pensiero  e il pensiero diventasse occhio , naso , papilla , in una totale mistificazione del vero falso e del falso vero . Che è quanto accade nella contea di Jiguo , celebre da secoli per l’esclusività rapinosa dei suoi distillati , cui fa da mercantile contorno una cucina vieppiù esasperata nella ricerca del nuovo e dello stupefacente , compresi finti o autentici neonati brasati, laccati , al cartoccio e via elencando .

Proprio sulle tracce di questa delittuosità cannibalesca  si muovono i passi di Ding Goue’r , ispettore di polizia che  ” ama la vita , ma ne avverte tutto il peso ” tanto da puntarsi spesso una pistola al cuore , creatura esplicita dell’autore che gli conferisce un’unica passione , quella per la risoluzione dei crimini ; e lo fa trascorrere lungo un’avventura allucinata dai fumi etilici , tra compagni ambigui e nemici mascherati , in cui incontra una camionista fatale , un ristoratore nano , una chef eminente che insegna a cucinare gli ornitorinchi , un venditore di ravioli , un reduce custode di un cimitero , e tante altre figure ufficiali appartenenti all’élite di una gerarchia sociale e politica comunque malavitosa . Senza che la verità venga a galla , perchè tutto è quello che sembra , ma quello che sembra può anche essere altro : il paese è appunto quello dell’alcol , e sta diventando il paese di tutti .

 Ding Goue’r però non è che uno dei protagonisti , perchè il romanzo  contempla una tripartizione alternata , in cui si avvicendano anche le lettere che un giovane accademico della distillazione scrive direttamente all’autore , raccomandandogli i suoi racconti , che costituiscono la parte più affascinante del libro (  l’innamoramento per la suocera , la fuga del suocero alla ricerca del segreto del liquore di scimmia , l’indimenticabile pezzo sui raccoglitori dei nidi di rondine  ) . Intanto Mo Yan finisce di scrivere il suo romanzo di finto genere poliziesco , le celebrazioni per la festa e il lancio mondiale di un nuovo liquore lo vedono attore compiacente , e i vari personaggi di fantasia confluiscono e  s’inverano ad uno ad uno come i re magi ,  contorno mellifluo e colluso , interessato al potere e al denaro  a discapito di ogni principio e di ogni ideale .

Se il libro costituisce una metafora dell’avariato e autodivorante sviluppo cinese , riflettendo non solo di delitti e di cucina  , ma anche sul modo di fare letteratura in una società in cui le parole della cultura contano sempre meno , è altrettanto vero che ne sancisce  anticipatamente la somiglianza con il nostro agonico occidente . Solo che lo fa in modo diverso e paradossale : diverso perchè le origini e le Storie sono diverse , così come i punti di vista e le modalità ornate dell’espressione ; paradossale perchè per descrivere la loro attualità , l’autore sembra avvalersi dei mezzi figurativi anche della nostra , in una sorta di embrassons nous connivente e prospetticamente sghembo , in cui i poveri rimangono o diventano tali , mentre le oligarchie delle Accademie , del potere e del denaro combinano la ferocia con un differente e più arabescato rispetto delle apparenze liturgiche .

Se ne esce sazi come da una obbligatoria indigestione consumata su un’otto volante  , perchè tutto è troppo acrobaticamente strutturato e ripetuto nonchè  escrementizio , emorroidale , fangoso , gastrico , etilico , morente  . E nel contempo affascinati più che pensosi ( la critica è solo fintamente allusiva , viceversa fin troppo chiara , come una missiva rubata in bella evidenza ) perchè la contaminazione riesce , e siamo di fronte a qualcuno che ci racconta una storia di qualcun altro che ci somiglia , con  parole difformi , ma modalità immaginifiche riconoscibili perchè mutuate e rielaborate dalla stessa fonte orientale . Senza contare gli squarci possenti , dall’esordio di campi vermigli   anneriti dalle miniere , all’alba tragica della preparazione silenziosa di un povero bimbo alimentare , in un villaggio da preistoria .

Rimanendo nell’ambito dei premi Nobel o degli aspiranti tali , l’ultimo libro di Magris – Non luogo a procedere –  è tetro e forzato ; quello di Pamuk –  La stranezza che ho nella testa – piatto e ripetitivo . Questo di Mo Yang è pieno di difetti da eccesso di talento immaginifico , ma almeno non si può abbandonare , come una rivelazione  nota che non cessa di meravigliare : stordisce e affascina , per non dire alcolicamente  che a suo modo Strega .

5

Il libro

IL PAESE DELL’ALCOL di Mo Yan , Einaudi 2015 , 363 pagine , 20 euro

L’autore

Mo Yan ( pseudonimo di Guan Moye ) nasce nel 1955 nella provincia cinese dello Shandong . Di origine contadine poverissime , lavora  dapprima in fabbrica e poi per molti anni nel dipartimento culturale delle forze armate . Diplomato e poi laureato all’università di Pechino , pubblica il suo primo racconto assumendo  lo  pseudonimo di Mo Yan ( colui che non parla ) in seguito alla necessità di non farsi notare . La celebrità lo coglie grazie al film di Zhang Ymou , tratto dal suo omonimo romanzo Sorgo rosso . Dimessosi nel 1999 dal suo incarico pubblico , continua a scrivere nel solco del movimento letterario intitolato alla Ricerca delle radici . In Cina viene apparentato a Faulkner  , mentre in occidente si fa il nome di Garcia Marquez ( forse perchè Faulkner beveva e Marquez ha scritto l’epopea di Cent’anni di solitudine ) . Il Nobel gli viene conferito nel 2012 per ” il suo realismo allucinatorio che coniuga la narrazione e la Storia , collegandole alla contemporaneità “. Tra i suoi libri pubblicati in Italia anche L’uomo che allevava i gatti – 1997 – Grande seno , fianchi larghi – 2002 – Il supplizio del legno di sandalo – 2005 – Le sei reincarnazioni di Ximen –  2009 –  Le rane – 2013 – . In quanto letterato ( o magari esperto di ogni tipo di distillazione ) ha vinto anche il premio Nonino .

La citazione

“Pisciare nel fusto dell’alcol è un procedimento di miscelazione arrischiato ma estremamente ingegnoso che ha dischiuso una nuova era nella storia della distillazione . Le cose più gloriose hanno spesso componenti di natura infima . Tutti sanno che il miele è dolce , ma quanti ne conoscono il procedimento di fabbricazione e di composizione ? Si dice che la componente fondamentale del miele sia il polline di fiori . Giusto . Ma affermare che il polline è la componente fondamentale del miele è come dire che la principale componente di un liquore è l’alcol : è come non dire niente . Lo sa che in un liquore sono contenute decine di minerali ? E che un liquore contiene decine di microrganismi ? E che contiene tanti elementi di cui non si conosce nemmeno il nome ? Io non li conosco e mio suocero non li conosce e neppure Lei ne sa niente . Sa che nel miele c’è acqua di mare ? E che il miele contiene anche merda ? E che senza merda il miele non si formerebbe ? “

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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