Libri

CLOCKERS

Nelle nostre vite il tempo scorre lineare , alterabile solo dalla memoria . Mentre i romanzi liberano i loro personaggi dalle pagine , e li fanno andare per il mondo , occasionalmente richiamati da chi li incontra secondo successioni bizzarre . Capita così di leggere dopo quello che viene prima , e viceversa . Nel caso di Richard Price , di innamorarsi  de La vita facile – 2008 – e di riinnamorarsi di Clockers – 1992 – che è appena uscito in italiano  , causa una politica editoriale che  osa non  in funzione del merito , ma della notorietà . Tuttavia , in questo caso , non si perde nulla della possibile evoluzione di un autore , perchè il mondo di Price è granitico come la sua personalissima , scolpita scrittura .

Siamo nell’immaginaria ma concreta cittadina di Dempsey , propaggine delle periferie newyorkesi che si estendono nel New Jersey . Anzi , in una moltiplicazione di strade , di bar scalcinati , di fumiganti friggitorie , di falansteri popolari , di appartamenti come gusci  , aggrappati  a dei giardinetti immondi che rimangono il  punto fisso del racconto . Così come sono fissi i blocchi umani che si fronteggiano : le gerarchie dello spaccio di stupefacenti ,  dai cui vertici temuti ed invidiati promana il potere assoluto e il modello inarrivabile di tanti infimi distributori al dettaglio , appunto  i clockers  ; il nucleo dei poliziotti dell’omicidi e dell’antidroga , scomposti o sovrapposti non  dalla catena di comando , bensì dai caratteri , dagli interessi , dagli orari di punta . Ma non si tratta della lotta della legge contro l’illegalità , quanto delle ossessioni individuali che motivano i pochi protagonisti , accompagnati da un coro di escrementi umani ,  di morti viventi . Il già largo confine fra lecito e illecito che caratterizza tutti i libri di  Bill James  – altro invidiabile scrittore –  si allarga ulteriormente  nella mappa ambigua di un gioco a somma zero , agito per denaro o per obbligo , comunque sempre per necessità di ruolo . Nulla sembra succedere , perchè una  vita degradata ha assegnato per sempre tutti i posti perdenti . Rimangono  i “doveri”, gli attacchi e gli inganni alternati del giorno per giorno , tanto le prigioni sono piene e non si possono ulteriormente riempire , così come il premio e la punizione non valgono niente rispetto a sopravvivenze fondate su incassi variabili e stipendi fissi diversamente  arrotondati .

Da una immutabile panchina e da un’automobile ricorrente si contrastano due reciproci ostaggi : il laconico  ventenne  Strike , afroamericano fragile e determinato con famiglia timorata  altrove ,  e l’ultraquarentenne usurato Rocco , logorroico ebreo  che una moglie giovane e una figlia bambina non riescono a colmare . Il primo , piccolo spacciatore in carriera , con desideri di affermazione e resipiscenze morali a lui stesso ignote , il secondo con l’ossessione del giusto e dell’ingiusto e la pretesa professionale di capire e controllare quanto gli sfugge . All’interno della ripetitiva , diligente  simulazione tra guardie e ladri , la vita infine irrompe davvero , in forma di un omicidio su commissione che si fa  mistero ed equivoco nel momento stesso in cui avviene , non si sa per mano di chi . Ma il classico Who Done It di tante usurate formule  poliziesche è solo un formidabile pretesto   per congegnare un universo in bianco e nero sia di luci che di razze , il cui assillante interesse non è costituito dalla soluzione , ma dalla qualità dell’invenzione cinematografica e linguistica .

E di cinematografia è d’obbligo parlare perchè il romanzo non è concepito come una sceneggiatura , è puro cinema in forma di romanzo o viceversa . Nella concezione di un esistere  esemplificato dalla trama , nei tagli speculari della narrazione , nell’alternarsi delle inquadrature e dei punti di vista , di volta in volta mossi o immobilizzati nei dettagli fisici , nei pensieri , nei dialoghi , nelle ambientazioni , nelle coralità di uno sfondo concepito per ritagliare dubbi e certezze . Tutto colto  in modo radente , quasi sempre dal basso ,  perchè il cielo non può che essere un’ipotesi meteorologica , nascosto com’è dalla case e dall’invarianza di una condizione irredimibile – i morti ammazzati  non sono nient’altro che macchie sull’asfalto . Chi legge (anche se non ama l’esegesi dello squallore , noi compresi ) è obbligato prima a guardare e poi a vedere quanto  la parola compone sotto i suoi occhi , mentre il sonoro caratterizza magistralmente le diverse parlate secondo generi e appartenenze , gli odori si sprigionano dall’erba spelacchiata , dalle scarpe consunte ,  dalle bibite alla vaniglia , e gli stessi silenzi mutano via via di qualità e di spessore . Non c’è una sola parola di troppo , la durezza non è un pretesto commercial voyeuristico bensì autentica filologia , così come il tema classicissimo dell’innocenza e della colpa porta ad un concetto modernamente arrangiato di redenzione coatta , senza il benchè minimo accattonaggio ricattatorio di tipo emotivo , bensì in forza della pura evidenza creativa delle “immagini” .

Alla fine , non si sa dove andranno Strike e Rocco . Ma chi dovesse nuovamente incontrarli , non solo li riconoscerebbe come amici vicinissimi , ma saprebbe riaccompagnarli con sicurezza in ambienti mai frequentati , eppure dettagliatamente familiari come le strade senza ritorno dei sogni ricorrenti . Perchè qui la parola è sia invenzione  che realtà eppure , misteriosamente , anche o ancora spazio da riempire personalmente , come i disegni bianchi e definitissimi che ognuno poi colora a suo piacimento . Non a caso i rifacimenti cinematografici sia de La vita facile che di Clockers sono stati un insuccesso , nonostante le regie illustri : non c’era niente da aggiungere , da interpretare , da trasfigurare . Price è il demiurgo assoluto di un mondo già completamente espresso , minuzioso come un chirurgo , poetico come un sognatore , in perenne agguato come un fotografo . Chi rifuggisse aprioristicamente dal genere , sbaglierebbe : il solo pezzo – da antologia –  in cui Strike porta il dodicenne Tyrone a fare compere ,  sostituisce in modo indelebile qualsiasi edificante commozione dei tanti frammenti che girano in rete , appunto per edificare e commuovere . Senza il rotolare di una sola lacrima .

Se una delle differenze fra cinema e romanzo può consistere nell’evidenza o meno dell’agire e quindi nella reazione simultanea della visione rispetto a quella sequenziale della lettura  , in questo caso la distinzione non vale , perchè in Clockers c’è tutto quanto caratterizza la letteratura e distingue la cinematografia , comprese la rappresentatività iconica , la multisensorialità e , soprattutto , l’empatia .

6

Il libro

CLOCKERS di Richard Price , Neri Pozza 2015 , 446 pagine , 18 euro

L’autore

Richard Price – Bronx – New York , 1949 – dopo la laurea alla Cornell University e un master alla Columbia , pubblica a 24 anni il suo primo romanzo Gioco violento . Successivamente , la scrittura adattata per il cinema del suo secondo romanzo – Bloodbrothers – lo introduce al mondo della sceneggiatura . Seguono una ventina di altri copioni fra cui , nel 1984 , Il colore dei soldi di Martin Scorsese , nominato agli Oscar . Nel 1992 , con The clockers , coglie il suo primo successo internazionale . Spike Lee ne trae un film discutibile e discusso dallo stesso autore . Nel 2007 riceve l’Edgar Allan Poe Awards e il Writers Guild of America per la serie televisiva The Wire . Nel 2008 pubblica La vita facile .

La citazione

“”Che cazzo porti ai piedi?”

Tyrone abbasssò gli occhi

“Accidenti , sono piedi o zoccoli ?”

Strike lo portò in un negozio di scarpe sportive , dove tutti i modelli erano esibiti come scafi su singoli scaffali di plastica trasparente .

“Cosa ti piace ?”chiese a Tyrone

Il ragazzo le guardò tutte , poi parlò all’aria : “BK , alte , bianche con profilo grigio”

Mentre il commesso gli faceva infilare il piede sulla forma graduata per prendergli la misura ,Tyrone alzò il cappuccio della felpa , tirò i lacci e sparì .

Strike , accanto a lui , soffocò un’altra fitta di irritazione . Non gli era mai capitato di scontrarsi con quell’insieme di timidezza paralizzante e di cieca ingratitudine . Le scarpe costavano sessantanove dollari e novantacinque , ma il ragazzo non fece neppure una piega , come se gli fossero dovute . Lanciò un’occhiataccia al cappuccio dentro cui si nascondeva , poi , intravedendo il dentifricio che sbucava da una tasca , si calmò pensando che forse nessuno gli aveva mai chiesto ” cosa vuoi?”. Forse non aveva mai avuto delle cose . Forse non aveva mai avuto l’occasione di dire grazie .”

Le connessioni arbitrarie ( e virtuose )

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